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Il grande match

Regia di Peter Segal vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il grande match

di alan smithee
6 stelle

Stallone, (67), De Niro, (70), Arkin (80), Basinger (60).....no, non stiamo fantasticando di un tardivo sequel di Cocoon, bensì della nuova sfrontata sfida di Stallone rivolta ora piu' che mai al passare degli anni, ad una vecchiaia che alla maggior parte degli attori citati mal si adatta e risulta francamente poco credibile o probabile in considerazione della prestanza che gli stessi sfoderano davanti alla camera. D'altronde nella civiltà occidentale che invecchia godendo dei benefici delle nuove frontiere mediche, che riduce al minimo la figliolanza e dunque si mostra sempre più longeva e propensa alla conservazione, piuttosto che alla moltiplicazione,  il pensiero di vivere una seconda parte della propria esistenza in ottime condizioni di salute e senza rinunciare agli svaghi e allemattivita' fino a poco tempo prima riservate alla gioventù,  diventa essenziale, predominante ed alternativo all'ombroso spettro di una vita minacciata da una crisi che non cessa di aggrapparsi alle nostre comuni esistenze. Dunque chi meglio se non l'immarcescibile Stallone, coraggioso sino all'irresponsabilita', indistruttibile ed immodificabile proprio perché di gomma e dunque non biodegradabile,  poteva pensare di ripetere una delle sue sfide epiche e far rivivere una sorta di nuovo, quasi blasfemo scontro finale tra Jack La Motta e Rocky Balboa? Propenso alle sfide estreme e rischiosissime che ne hanno sempre rimesso in gioco, nel bene e nel male, una carriera di successi sempre altalenanti, Sly, dopo aver avuto il (brillante) intuito di chiudere (ma nessuno ci crede definitivamente, conoscendolo anche solo un  po') con dignità e valore cinematografico entrambe le saghe a cui è legata la propria carriera di star (non a caso scegliendo di intitolare con un tombale nome e cognome sia l'epica di Balboa che quella di Rambo), dopo averci stupito con un mix di attoracci di action anni '80, '90 e '00 almeno nel primo I Mercenari (il secondo era davvero inaffrontabile in verità), dopo aver unito seriamente e recentemente le due star dell'action milionaria e di serie A (ovvero lui e Swarzy, prima impegnato a governare la California e dunque disponibile per i Mercenari in un solo piccolo cameo), ecco che l'attore osa l'impensabile, cautelandosi dietro una storia in sé sino risibile, almeno sulla carta. Una sfida tra due campioni di Pittsburg che, per le solite e varie ragioni più o meno patetiche, si convincono o sono costretti a tornare a combattere ormai ultrasessantenni per decidere una sfida iniziata trent'anni prima e mai conclusa per il ritiro prematuro ed improvviso di uno dei due. In mezzo ovviamente una donna, (una Basinger che batte tutte le altre salme... ops...star... quanto ad immutabilita' e perfezione, e che ce la fanno ritrovare ora stupenda e pressoché immutata rispetto a trentanni prima quando sfolgorava assieme  Barbara Carrera e a un Sean Connery in parrucchino nell' ultimo Bond apocrifo di quest'ultimo, Mai dire mai), una bionda che ha amato uno, ma avuto un figlio dall'altro (manco a Beautiful!!!). Aggiungiamoci un casinaro organizzatore strampalato e nero simpaticamente disonesto, un nuovo "Paulie" vecchio, anzi vecchissimo ("Ho ottocento anni, potrò dire quello che voglio!!!"..una delle sue innumerevoli divertentissime battute) impersonato da un impagabile Alan Arkin, il migliore di tutti ed attore rinato dai tempi di Little Miss Sunshine. Buttata giù cosi' la storiella fa anche rabbrividire per improbabilita' e sfrontatezza nel voler sostenere un progetto che ha molto dell'inverosimile. Tuttavia una sceneggiatura piuttosto brillante che scavalca piagnistei e melasse peraltro ad un passo dal debordo, e che mette a disposizione dei due contendenti (ma ancora di più a Stallone che a De Niro) battute talvolta esilaranti, rende il film dello specialista in leggerezza Peter Segal, una operazione in qualche modo riuscita che evita la sensazione sgradevole della naftalina, risultando a tratti addirittura vitale. Ed un Arkin che, al contrario degli altri tre, punta ad invecchiare e a dimostrare tutti gli ottocento anni che si attribuisce, batte alla lunga tutti gli altri campioni impegnati a tirar indietro pance e a scattare sulla corda con i guantoni in pugno. Inoltre belle ed insolite vedute della città di Pittsburg e gradevoli scorci come la casetta a schiera di Stallone, piccola con due pilastroni giganti come la casa di un hobbit ed  incastonata come tante sotto un enorme ponte che ne oscura l'orizzonte, sono un ulteriore piccola sorpresa che ci consente di uscire di sala almeno senza la tristezza di fondo che si sospettava inevitabile in un prodotto preconfezionato di questo genere. Aggiungiamo una chicca, ma non dovremmo perche' e' una sorpresa, cioe' uno sketch appena passati i primi titoli di coda, che ci presenta un altro incontro-sfida che potrebbe essere degno di quello delle due star ingrigite ma tutt'altro che arrendevoli. Di chi si tratta? Lo scoprirete, posso solo dire che tra di loro c'e' stato un padiglione o parte di esso a separarli (o a unirli per sempre nella storia, un po' insensata, un po' appassionante...della boxe).

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