Espandi menu
cerca
Risate di gioia

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scandoniano

scandoniano

Iscritto dal 27 giugno 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 75
  • Post 18
  • Recensioni 1430
  • Playlist 32
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Risate di gioia

di scandoniano
6 stelle

Alla vigilia di Capodanno l’attricetta Tortorella (Anna Magnani) e l’amico Umberto (Totò), truffatore di mezza tacca, si ritrovano a vivere le ultime ore dell’anno insieme, in una Roma agghindata a festa. I piani della donna sono sinceri, mentre Umberto ha scopi non molto lusinghieri (truffare gli spensierati e gli ubriachi tipici di San Silvestro) insieme al compare Lello (Ben Gazzara). Tortorella, ignara di tutto, si trova suo malgrado complice di una notte di bravate ed eventi fuori dall’ordinario.

 

 

Mario Monicelli inscena una storia che, seppur lontana dai toni graffianti e talvolta anticonformisti dei precedenti capolavori (“I soliti ignoti” e “La grande guerra”), non è esattamente una commedia all’italiana in senso classico. Da iniziale commedia il film si tramuta infatti, lentamente ma inesorabilmente, in qualcosa di diverso e per certi versi indefinibile, somigliante a quanto visto a tratti nel precedente “I soliti ignoti” (nelle nostalgiche scene carcerarie, in occasione della morte di Cosimo - Memmo Carotenuto - e soprattutto del funerale di quest’ultimo). Una storia leggera impregnata di una melanconia stridente. I personaggi, in particolare Tortorella, all’anagrafe Gioia Fabbricotti (da cui il doppio gioco sul titolo del film) subiscono uno straniamento sociale. Sono derelitti, quasi emarginati, costretti a vivere spesso al di sotto della soglia della dignità personale (elemosinare un amico per un Capodanno è quanto di più triste si possa immaginare).  Il personaggio della Magnani  è il fulcro del film: è la popolana senza pretese, senza amici, senza prospettive, che vive in tutta onestà ma si vede sempre respinta anche dai suoi simili, per un motivo o per un altro.

 

 

L’altro divo della pellicola, Totò, nel suo periodo di maturità professionale, veste nuovamente i panni del truffatore, anche se qui è un bonario ladruncolo (al contrario del guru de “I soliti ignoti” e prima di Don Vincenzo di “Operazione San Gennaro”). In ogni caso, in “Risate di gioia”, al fianco della Magnani e di un Ben Gazzara per la prima volta diretto in Italia, il principe della risata paresoffrire, ingabbiato com’è in una sceneggiatura rigida. Perfino alcuni dialoghi vengono cambiati in post-produzione (lo si capisce dal labiale). Sintomo dell’impossibilità di Monicelli, alla sesta ed ultima collaborazione con Totò, di dare libero sfogo all’estro di De Curtis, portandolo dunque a recitare sotto tono, imbrigliato e senza la facoltà di improvvisare, assecondando ferreamente la sceneggiatura, scritta, oltre che dallo stesso regista, dai migliori scrittori di cinema dell’epoca (Cecchi D’Amico, Age, Scarpelli) su soggetto di Alberto Moravia.

 

Totò

Risate di gioia (1960): Totò

 

Il tentativo di rimanere in equilibrio tra neorealismo e commedia all’italiana provoca un andamento poco scorrevole, al limite del macchinoso. Frutto anche di una genesi complicata e dei rapporti non idilliaci (professionalmente) tra il Premio Oscar Magnani e la macchietta Totò. Per qualcuno un passo falso nella filmografia di Monicelli. Per chi riflette bene, però, “Risate di gioia” è anche o soprattutto un’opera che, arrivando in coda ai più volte citati “I soliti ignoti” e “La grande guerra”, film dallo straordinario piglio autoriale e ammantati di grandissima fortuna, ha dovuto fin dal principio confrontarsi con due pietre miliari probabilmente inarrivabili.

 

Carmine Cicinelli

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati