Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film
Il ragazzone palestrato di ritorno dalla seconda guerra mondiale che deve rifarsi una vita e una cultura aggiornata alla realtà social 3.0 contemporanea ha un taccuino (con gli smartphone touch screen nessuno sa più come si scrive taccuino) sul quale segna le cose degne di nota da imparare, leggere, ascoltare. L’amico gli dice Marvin Gaye e mentre scrive, nella seconda riga la telecamera galeotta immortala un nome: Vasco Rossi.
Non si sa se Steve Rogers abbia poi seguito il consiglio di chissà chi. Si sa solo che la musica italiana furoreggia all’estero. Magari allo S.H.I.E.L.D. nei cessi ipertecnologici dove c’è la scrollatina assistita da un braccio meccanico per non lordare la purezza del design sanitario, in filodiffusione si ascolta Eros Ramazzotti. Oppure alla mensa astronautica dove i cibi premasticati e predigeriti vengo sorbiti con cannucce e immediatamente assimilati dal corpo la radiolina del cuoco nippo-ispanico trasmette Ligabue. Tanto si mangia talmente male in USA che forse suggere in pochi secondi le sbobbe iperproteiche è meglio. Con Ligabue on air, poi, il cibo si sorbisce in piedi e via, a produrre.
Chi lo sa? Sicuramente l’eburneo Steve indossati i panni dell’eroe americano Capitan America la vita spericolata l’ha nel sangue. Molto più di Steve McQueen. E visto che l’eroe americano, tutto muscoli e testosterone, in astinenza dal 1945 si concede giammai a qualsivoglia polla da sbattimento, mi viene da pensare che Albachiara per lui abbia un senso. Nella parte in cui piano piano si sfiora. Oddìo, con quei muscolacci forse si randella ma il senso rimane quello.
Il grosso uccello nero di Falcon diventa il suo migliore amico. Secondo me è l’infezione da Nymphomaniac che mi fa dire ‘ste cose. Mentre la spia russa Vedova Nera alias Natasha Romanoff ha sempre le fattezze curvilinee di Scarlett Johansson che dopo la voce di Her mette la tutina aderente nera e l’America, quella del Capitano, ha un picco di orgoglio che inturgidisce l’asta della Stars & Stripes impressa sulla tuta dell’eroe. Ma la forza dell’ America è fondata sull’astinenza. Non sull’asta.
Poi c’è un villain, ( il villano in italiano, credo). Lo chiamano il Soldato d’Inverno. Che c’entri Il mare d’inverno della Bertè? Mah, questo mare agita anche me…
Il soldato grugnisce, ha un potente arto meccanico instancabile che farebbe la fortuna di qualsiasi adolescente connesso flat in banda larga su Youporn, sradica portiere e ha un rigurgito di coscienza che gli consente di non uccidere il rivale quando ne avrebbe l’occasione. Erano amici un tempo. Poi morì. Come è morto Nick Fury che per l’occasione sfoggia una vocina da pensionato timido di fronte all’impiegata delle poste all’ennesimo ritardo dell’accredito della pensione. Evidentemente la scrollatina assistita del braccio meccanico dei cessi dello S.H.I.E.L.D. deve essere registrato meglio. Prima godi, poi a volte strappa. La prova è che Fury cieco a un occhio. Il prete aveva ragione.
Sulla tomba di Nick Fury appare un epitaffio: Ezechiele 25:17 e a questo non c’è commento.
Ma nell’universo Marvel nessuno muore, si sa. Non esiste sangue. Non esiste sesso. Gli eroi non hanno il cesso (estensione ontologica della mancanza del bidet nella realtà storica) . Tornano tutti ottusamente a fare il loro sporco lavoro dopo la presunta dipartita. Nonostante un carrier volante che si abbatte sulla torre dello S.H.I.E.L.D. nessuno ci rimane sotto. Da una morte presunta spunta sempre una seconda vita di epico eroismo o nella più enfatica della nemesi, un’esistenza votata al male più orrido. Le vie di mezzo sono vietate, come leggere la pagina di un fumetto di taglio. Non si può. Non c’è spessore. Ma questo è il bello degli eroi americani di cui Capitan America incarna tutte le bellezze, le potenze, le etiche, le morali, le capacità, i sacrifici, le santità e i coraggi.
Tutto dentro un corpaccione che combatte a suon di scudate e cazzotti contro la nanotecnologia.
Salta e ruzzola mentre armi di distruzione di massa sarebbero capaci di annientare il mondo in un amen.
Salva il mondo inserendo il ….. lo…..quella cosa lì quadrata che luccica nel….proprio nel….dentro il…….che poi grazie a quello il coso fa…..riesce a…. (George Lucas ne sa qualcosa, ora lo chiamo) .
Insomma. Capitan America non capisce ma si adegua. Ed esegue. E’ al contempo prototipo testosteronico dell’americano medio e dello spettatore medio. Cose che nei blockbuster dagli incassi apocalittici molto spesso coincidono.
Il questo secondo capitolo dell’Eroe senza identità segreta c’è l’ospitata illustre. Il divo che mai ti aspetteresti di trovare in un dodecafonico film di supereroi. Lo stropicciato Robert Redford fa la parte del cattivo che fa finta di essere buono.
Non è uno spoiler, tranquilli. Basta guardarlo in faccia la prima volta, rilassare gli occhi come per mettere a fuoco qualcosa di molto lontano tipo La stangata, fare insomma come si fa di fronte ad uno stereogramma, ed ecco apparire sul reticolo di rughe una parola nascosta: STRONZO.
Se durante l’operazione Robert sorride, di fianco alla parola appare il suo Suv parcheggiato su un disabile. Ma sempre entro le righe blu destinate alle auto, si intende. Stronzo si, ma nel rispetto delle regole.
Il bello di Capitan America: The Winter Soldier è che si prende più sul serio degli altri film di super eroi. Si ridacchia meno per le battutine telefonate alla Tony Stark, ad esempio, mentre si aggrottano ciglia, si accipigliano fronti, si storcono bocche per un complottissimo che rispolvera l’Hydra, l’organizzazione paramilitare nazista che punta alla pace nel mondo, bombardandolo. Ops……
La migliore frase del film: “Sugli ascensori una volta c’era la musica”.
Suggerisco: Tofee. Di Vasco. La complessità del testo si adegua al reticolo narrativo di questo cinema politico (questa l’ha scritta Tony Stark, hahaha! diavolo di un Tony sempre a scherza’ , li mortè).
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