Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film
Che bruttura, il secondo capitolo di Captain America.
Di necessità (non s'è fatta) virtù: scadute le opzioni sul pacchetto-vintage del primo episodio che assicurava quantomeno un discreto gioco tra impulsi "fumettosi" e istanze nostalgiche (sempre nell'ottica dello spirito marveliano), e vicine all'esaurimento le scorte preziose di storie e figure potenzialmente valide, The Winter Soldier rovina fragorosamente in territori melmosi; palesando così la sua (mera) natura di mezzo di raccordo tra una megagalattica avventura degli Avengers e l'altra (il prossimo appuntamento è previsto per il 2015).
Transizione in ogni caso gestita male, a cominciare da un scrittura debordante. E, per larga parte, delirante. Un supereroistico con l'anima (contraffatta) della spy-soap opera. Per dare l'idea.
Una storia esagerata (anche per la categoria di appartenenza) che affoga bellamente nel ridicolo; e, nel farlo, si avvale di accorgimenti e stravolgimenti incredibili.
Ad un certo punto pensi che mancano giusto delle sollecitazioni di stampo incestuoso e un paio di gemelli cattivi, perché si è già sorbito l'intero catalogo delle scemenze da telenovela (l'imperativo è: nessuno muore mai per davvero!). Ora, tenendo presente che durante i titoli di coda, appaiono come nuove e prossime minacce proprio due gemelli (che saranno appunto presenti in Avengers: Age of Ultron), il (fosco) quadro dovrebbe essere chiaro.
Il tutto innestato su una trama assurda e ultra-derivativa, fitta di richiami (fanta)politici (legati all'attualità solo per l'utilizzo delle nuove tecnologie) e pretestuose - ma seri(os)e - considerazioni cospirazionistiche (garante il bollito Robert Redford), aventi unicamente funzioni riempitive e di distrazione. Con il risultato, però, che spostando sempre più in alto il limite dell'accettabile, si finisce con il raggiungere le untuose sommità del risibile.
Quando tutto - ma proprio tutto - sembra possibile, si perde contatto con la realtà; e non c'entra nulla il genere di appartenenza del prodotto: è semplicemente questione di buon senso e di stile (oltre che di qualità di scrittura, qui invero alquanto mediocre).
Vano inoltre il tentativo di allargare il raggio d'azione su alcuni personaggi già orbitanti nell'universo - non poi così tanto condiviso - Marvel, anche come (evidente) tentativo di attenuare l'inscalfibile status tedioso di una figura così retorica come Captain America. In particolare, Nick Fury (Samuel L. Jackson col pilota automatico), ha più spazio del solito senza che si possa dire granché sfruttato (al contrario della sottoposta Maria Hill, defilata come d'abitudine), così come la Vedova Nera interpretata da Scarlett Johansson (sì, l'abbiamo capito: ha un passto oscuro, che prima o poi sarà raccontato. Probabilmente mai) che costituisce una sorta di contraltare malizioso alla granitica istituzionalità del "primo vendicatore", per quanto i dogmi disneyani possano permetterlo (e cioè per nulla).
Funziona poco e appassiona meno l'introduzione di quelli nuovi, dal fido soldato "alato" (Anthony Mackie) alla amorevole vicina di casa del capitano Rogers nonché collega a sua insaputa (interpretata da Emily VanCamp, nota per le serie Everwood, Brothers & Sisters e Revenge), mentre ha senz'altro la faccia giusta il sempre solido Frank Grillo (una garanzia). Cosa che non si può dire per il villain portato da Sebastian Stan, il soldato d'inverno del titolo: presenza poco carismatica già di suo (gli andava meglio come buono nel primo capitolo), soffre poi (più di ogni altro) la scadente definizione del personaggio.
Che, dal momento in cui toglie la maschera svelando la sua identità, perde ogni fascino residuo, facendo precipitare nel vuoto dell'interesse cosmico la tenuta del cinefumetto, scontro finale - con i suoi risvolti "umani" - compreso.
Ad uscire ridimensionato - e ciò è sicuramente motivo di delusione e (con)causa del noioso tono generale del film - è pure il tipico humour di casa Marvel: solo qualche battutina buttata a caso, affidata perlopiù alla Johansson («sono multitasking») e alle sue schermaglie da oratorio col prode Capitano.
Non rimane - altro tratto caratteristico - che la (rin)corsa alla citazione, ai riferimenti, più o meno gustosi, più o meno azzeccati. Ve ne sono diversi: la lapide di Fury che riporta il "passo biblico" Ezechiele 25:17 di pulpfictioniana memoria (bello vincere facile), l'immancabile cameo di Stan Lee (il vecchio guardiano del museo che non s'accorge del furto - a fin di bene - delle divise dei buoni e per questo paventa sicure ipotesi di licenziamento), la lista delle cose da vedere/ascoltare di Steve Rogers su un taccuino che riporta, tra gli altri, i nomi dei Nirvana e di Roberto Beningni.
Infine, da menzionare l'apparizione di Danny Pudi (è il tizio che, sul finale, apre le porte dello Shield ai "rivoltosi" comandati dal Capitano), ossia il simpaticissimo Abed Nadir della sitcom Community, del quale i Russo brothers sono produttori esecutivi e registi di molti episodi. In pratica, l'unico segno tangibile della loro presenza fantasmatica.
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