Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film
Il siero del super-soldato può aver dato a Steve Rogers potenzialità sovrumane ma, psicologicamente, l’antico emblema del patriottismo americano ha difficoltà ad ambientarsi nella modernità post-ideologica dell’America moderna.
Ancorato a ricordi ancora vividi che si appannano negli altri (l’ex-fidanzata), si celebrano diversamente (la mostra dello Smithsonian), sono stati rimossi artificialmente (il Soldato d’Inverno) o mantenuti integri artigianalmente (il computer vivente retrò), Rogers deve vivere la leggenda che rappresenta senza averla davvero incarnata, si trova ad avere un’età anagraficamente incongrua, a recuperare tempo perso in sospensione ed è obbligato ad una ricerca esistenziale in itinere che non si era mai posto di intraprendere. Eroe o nemico, a seconda della definizione emanata e potenziata dai mezzi di comunicazione, Capitan America cerca un ruolo oltre ad un costume, e Steve Rogers combatte esibendo la propria identità per una giustizia che si sottrae alla banalità di un dualismo diventato evanescente.
Eppure è proprio il passato, che torna ad incassare inaspettati dividendi di un investimento remoto, a riportare d’attualità il supereroe senza maschera e costringerlo a cercare ancora quella dritta via a cui aveva sacrificato la propria identità, lottando col filo-nazismo ed eredità post-comuniste. Filologicamente corretto e cinematograficamente coerente, il secondo film con protagonista Capitan America si riallaccia ai traumi introdotti dal primo capitolo con lo sbalzo in avanti di decenni, la vita ai tempi delle organizzazioni federali e degli strumenti di comunicazione globale per far riecheggiare antiche paure di un totalitarismo segreto che parassita la democrazia. Come Iron Man alle prese col Mandarino, è contro moderni agenti del caos che gli eroi combattono, avversando la confusione e la manipolazione dei mezzi di comunicazione, l’instaurazione di nuovi ordini mondiali celati da devianti accezioni di pacificazione.
Con ironia citazionista, i Russo scelgono ad incarnare l’antagonista un emblema della sinistra cinematografica come Robert Redford, maschera elegante e senza tempo di inedita malvagità sepolta ma mai sopita, mentre l’ingenuità di Rogers si fissa nella espressione malinconica e sorpresa di un Chris Evans che lascia che la corporeità del personaggio e il suo allenamento prendano il sopravvento sulla dialettica e la diatriba intellettuale. L’uomo d’azione si riflette così in un film d’azione mai dissennata, fedele alla genesi dei suoi personaggi, attento a suggerire le ellissi e a omaggiare le figure estinte, creando una continuità che è la caratteristica del mondo Marvel e della sua espansione cinematografica (e televisiva con Agents of SHIELD), mentre l’Hydra, il nazismo organizzato secondo modalità da Spectre (ma l’aura di Bond è diffusa nella pellicola), torna alla ribalta come nemesi predestinata di Cap, dal cui ventre riemerge anche il villain di turno.
Film collettivo quasi quanto The Avengers, The Winter Soldier non solo approfondisce i disaccordi cronologici di Steve Rogers ma lascia grande spazio alla Vedova Nera, di cui si intuiscono trascorsi post-sovietici (un po’ fuori tempo per ragioni anagrafiche), e alla sottolineatura della centralità di Nick Fury come catalizzatore dell’intera trasmigrazione del mondo Marvel sullo schermo, oltre all’introduzione aggiornata di Falcon. E, come The Avengers, anche questo film rappresenta un elemento di discriminante narrativa nella saga per il coinvolgimento dello SHIELD e le sue possibili conseguenze, evento che inaugura nuovi capitoli di digressioni cine-televisive che rimandano ad un immaginario noto pur sviluppandolo con modalità e percorsi inediti che vanno a definire una ulteriore ipotesi di multiverso pop.
Forse esasperata da una macchina da presa esagitata che rischia l’abbinamento vertiginoso della stereoscopia con la ripresa in spalla, la regia a quattro mani dei Russo si lascia andare ad un uso interessante della terza dimensione anche nei segmenti statici, ad un’ironia addomesticata alla resa della scena (il mexican standoff tra portaerei volanti) e non relegata al solo utilizzo delle battute, con dialoghi attenti all’essenzialità. Con l’ipotesi della temporanea eclissi di Cap (il periodo problematico di Nomad?) della Vedova e di Fury, alla ricerca di sé e del proprio passato o alla fuga da esso, pur costituendo un capitolo narrativamente autonomo, il film alimenta l’orizzontalità della trama integrata Marvel secondo i canoni della serialità e si pone come punto di partenza di sviluppi collettivi e personali dei personaggi, destinati a maturare altrove, ponendo le promesse di un inedito spessore e di una complessità umana altre volte smarrita nel puro impianto ludico.
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