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Rio Lobo

Regia di Howard Hawks vedi scheda film

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Dany9007

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La recensione su Rio Lobo

di Dany9007
6 stelle

Sin dalla prima visione, il film è stata una sostanziale delusione : i western coevi di John Wayne in effeti già avevano perso smalto rispetto a qualche anno prima (in particolare mi sono risultati piuttosto indigesti quelli sotto la direzione di Andrew V. McLagen). Tuttavia la mano esperta di Howard Hawks, qui al suo ultimo lavoro, mi faceva sperare in una scossa elettrizzante, sebbene non innovativa.

Purtroppo il film ha uno svolgimento innanzitutto poco equilibrato: la prima parte si sviluppa in una bella ambientazione sul finire della Guerra Civile, la seconda, invece, torna ad essere la solita formula intrapresa con Un dollaro d'onore (1959) e poi sviluppata in modalità più disincantata e crepuscolare con El Dorado (1967). Hawks infatti sembra volere strenuamente tornare a "rinchiudere" i protagonisti negli spazi angusti dell'ufficio (con annessa prigione) dello sceriffo, anche se in questo caso, il pregio (ed il genio) di un film che oltre dieci anni prima aveva ribaltato i canoni del genere (abolendo gli spazi aperti e privilegiando quelli angusti) ora invece è ridotto all'ostinazione di riciclare gli stessi meccanismi.

Ricorrono infatti tutti i personaggi già visti nelle pellicole precedenti. John Wayne, perno di tutta la vicenda, rappresenta sempre il capostipite del gruppo: rispetto al John T. Chance di Un dollaro d'onore (uomo maturo e granitico) e a Cole Thorton di El Dorado (con gli acciacchi dovuti ad una pallottola che gli insidia la spina dorsale), Cord McNally ormai è consapevole dell'affacciarsi della vecchiaia, le giovani ragazze definiscono il suo fisico "morbido" e, in un finale struggente si avvia zoppicando, sostenuto da una ragazza sfregiata. Anche gli altri personaggi non sono che variazioni di quelli già visti: Jack Elam è un aggiornamento (meno simpatico) del vecchio Stumpy e di Bull, Jeorge Rivero porta avanti la figura del giovane più attratto dalle ragazze che dai combattimenti, simile a Mississipi, interpretato più brillantemente da James Caan, infine la giovane avventuriera Jennifer O'Neill, è un aggiornamento di Feathers, interpretata da Angie Dickinson.

Da questo "misto frutta" esce appunto un ennesimo tentativo di rielaborare i temi che erano ben messi a fuoco nei film precedenti, anche se pochi se ne salvano: non vi è più un compagno da aiutare perchè ritrovi la sua dignità, non si avverte nemmeno una "maturazione" del gruppo durante la situazione di pericolo (anche perché le relazioni si sviluppano in un tempo brevissimo, per cui va serenamente a farsi benedire ogni tema di amicizia di lunga data), i cattivi sono stilizzati e ridotti a semplici antagonisti. In aggiunta a questo si osserva persino una struttura della seconda parte poco lineare, quasi contorta con l'antagonista Ike Gorman/Ketcham oltre ad essere il traditore durante la guerra civile è anche divenuto un importante proprietario terriero che mette sotto scacco una città. Oltretutto il sentimento di vendetta che sembra guidare vividamente McNally nella prima parte si perde nei mille rivoli della sceneggiatura. Altrettanto ridicolo il tentativo di creare una love story (che nasce in meno di 24 ore) tra Cordona e Shasta: soprattutto il primo è anonimo in quel ruolo e la secondo sembra essere un po' forzata in alcune dinamiche che sapevano di vecchio già a quei tempi. Rimane il concetto di amicizia che valica i risentimenti e le fazioni belliche (tra coloro che si sono lealmente combattuti), qualche scampolo di ironia brillante che ha contraddistinto l'intera "trilogia" ed infine la nostalgia per un west (e soprattuto per un genere western) profondamente cambiati. Tra le contraddizioni aggiungo anche l'assurda necessità di ambientare la vicenda in Texas, per cui il personaggio di Wayne avrebbe dovuto militare tra i sudisti, così come appare anomalo che Ketcham si trovasse tra le file nordiste mentre era anch'egli un possidente texano. 

La sola novità si può trovare in alcuni personaggi femminili, sensibilmente più combattivi (e sofferti) rispetto al passato.

In uno scontro finale che ricalca alla perfezione, ed in maniera più cruenta, Un dollaro d'onore (persino gli scambi di battute rispecchiano quelle di un decennio prima) si chiude, poco memorabilmente, la carriera di un grande regista. 

Tanto per aggiungere una citazione: Quentin Tarantino, per spiegare la sua volontà di volersi ritirare dalla regia prima di realizzare pessimi film ha detto: "I don’t want to make Rio Lobo"

 

 

 

 

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