Regia di Damiano Damiani vedi scheda film
Film personale di Damiani, che tenta la via di una storia milanese, lontana parente dei Vitelloni di Fellini ed in anticipo rispetto ad un film per certi versi simile come Mariti (1970) di Cassavetes. Non tutto funziona come dovrebbe, forse perché non tutti i protagonisti sono ugualmente messi a fuoco e lo sguardo sul mondo femminile lascia un po’ a desiderare. Forse il personaggio meglio delineato è quello dell’avvocato trapiantato a Roma (Rabal), che da un’avventuretta con una diciannovenne vorrebbe far ripartire la propria vita. I personaggi del film non si arrendono al passare del tempo, che è trascorso per loro come per Milano e per l’Italia intera («il miracolo economico è ormai finito» dice uno degli amici): la ragazza più ambita dei giorni che furono è finita a prostituirsi sulla strada e nei suoi confronti, così come verso Cesarino, ognuno ha qualcosa da farsi perdonare. L’incapacità di crescere, testimoniata proprio da quel diminutivo del personaggio capace di tenere unita la combriccola, si mescola con un bilancio esistenziale dal saldo negativo, per tutti. Qualche sfilacciamento nella sceneggiatura ed una recitazione non sempre perfetta (Walter Chiari, nonostante sia qui ad una delle sue prove più interessanti, non mi ha mai convinto) non tolgono che vi siano momenti riusciti, soprattutto in certi scorci squallidi della Milano del boom, dove i grattacieli convivono con le catapecchie (e dove gli operai continuano ad essere abbrutiti dalla fatica e dall’alcol, come testimonia l’episodio del “Toro”), sottolineati, all’inizio ed alla fine da una bella canzone di Sergio Endrigo (La rosa bianca).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta