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The Captive - Scomparsa

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Captive - Scomparsa

di maurizio73
5 stelle

Egoyan -Devil's Knot - PartTwo : il peccato originale di una colpa che trae la sua linfa dalla pianta malata di un un vissuto traumatico che accomuna fatalmente gli adulti e la prole indifesa che sono chiamati ad accudire,ricamando dai tragici fatti di cronaca a cui la storia sembra ispirarsi le sotterrane trame delle sue usuali ossessioni edipiche

Rapita da una potente e ramificata organizzazione di pedofili, la giovane Cassandra lascia nella disperazione e nello sconforto i genitori. Dopo un lungo e tenace lavoro di ricerca durato sei anni, una coppia di investigatori scopre che la ragazza, ormai adulta, è tenuta ancora priginiera in un luogo imprecisato ed utilizzata come esca nel deep web per adescare altre giovani ed inconsapevoli vittime. Svolta finale.

 

locandina

The Captive - Scomparsa (2014): locandina

 

Attraverso un montaggio ad incastro che fa la spola tra passato e presente nel ricostruire tanto gli incerti contorni di una vicenda oscura e drammatica, quanto nel disseminare le mollichine di pane di una favola nera che richeggia della crudeltà e dei tradimenti che il mondo degli adulti riserva alla purezza dell'infanzia, Atom Egoyan ritorna alle tematiche a lui più congeniali (già anticipate nel precedente Devil's Knot) dopo le parentesi di morbose contorsioni sessuofobiche di Where the Truth Lies e Chloe, in cui si indagano le derive di rapporti umani e coniugali sospesi sul baratro di una nevrosi sempre sul punto di deflagare.
Se il peccato originale di una colpa che trae la sua linfa dalla pianta malata di un un vissuto traumatico che accomuna fatalmente gli adulti e la prole indifesa che sono chiamati ad accudire sembra una costante del cinema dell'autore armeno-canadese dai tempi di Exotica e The Sweet Hereafter, questo si ripresenta esplicitamente anche in questo thriller dell'infanzia tradita, laddove ciascuno a suo modo sembra essere colpevole di un comportamento che spazia dall'omissione alla presunzione alla strumentalizzazione, fino ad arrivare all'aboninio di uno sfruttamento che confina con una sconcertante deriva dell'amore filiale. A differenza del rigore raggelato e dell'irresoluta ambiguità delle opere precedenti però, lo sguardo di Egoyan sembra essersi un pò appannato, abdicando ad una soluzione di scrittura in cui la solita decostruzione del linguaggio filmico (fatto di flashback e squarci onirici) ripiega sulle facili soluzioni di un montaggio frammentato e sulla banalità di un plot che nel finale scema verso una scontata logica vendicativa, con tanto di resa dei conti a colpi di rivoltella e ricongiungimenti familiari strappalacrime. Ad aggravare questa banalizzazione del soggetto e dei meccanismi narrativi contribuiscono alcuni difetti di scrittura che non risparmiano risvolti senza sbocco e passaggi a vuoto, con alcune incomprensibili incongruenze logiche e piste inesplorate (compresa, ma non solo, il giano bifronte di un'aristocrazia opulenta e corrotta che che predica bene e razzola male) per approdare ad una soluzione di comodo dove i trucchi (pardon, gli stratagemmi) servono solo a farci tornare alla casella di partenza, come se nulla fosse successo, con una giovane e spensierata adolescente in fiore pronta a inforcare nuovamente i pattini che aveva dismesso da ragazzina. Egoyan insomma descrive personaggi che sembrano prigionieri di codici di pensiero e di comportamento che li confinano nelle gabbie chiuse delle reciproche inadempienze (il padre che lascia la figlia incustodita, la madre che se la prende ottusamente con lui, il poliziotto che lo sospetta e che non esita ad usare la nipotina come esca, il pedofilo condannato alle proprie compulsioni, le vittime utilizzate come consapevoli strumenti di adescamento, etc.), finendo per insistere su di una teoria del linguaggio fatta di server criptati e telecamere a circuito chiuso piuttosto che di tracciamenti gps, ma esagerando un pò nel ricamare dai tragici fatti di cronaca a cui la storia sembra ispirarsi le sotterranee trame delle sue usuali ossessioni edipiche. Sempre importanti i riferimenti alti tanto in campo musicale (l'aria della Regina della notte dal Flauto magico di Mozart) che figurativo (l'oscura riproduzione espressionista alla cena di beneficenza) ma che non bastano a dare sostanza e corpo ad un film che non si sa reggere bene sulle proprie gambe. Attori bravissimi, tutti in parte, con la straordinaria caratterizzazione del viscido e mellifluo orco in doppiopetto di Kevin Durand. Presentato in anteprima ed in concorso al Festival di Cannes 2014.

Il Diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge, o forse sì.

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