Regia di Andrew Stanton, Angus MacLane vedi scheda film
Le emozioni latitano e le tematiche pure, restano le solite vivacità e i begli effetti tecnici che faranno felici i piccini ma non i grandi. La scarsità di nuove idee è palese, tolto il divertimento e qualche sequenza altro non è che un usato sicuro su cui tutto aveva già detto Nemo. Un brutto esempio del cinema seriale targato Disney.
La pesciolina chirurgo Dory, 13 anni dopo la sua prima avventura come spalla comica al fianco di Nemo e suo padre, sale di livello e diventa protagonista assoluta di questo seguito targato Pixar.
Nessuna sorpresa o sdegno, per anni gli studi di Ed Cadmull e John Lasseter hanno affiancato ai nuovi lavori i numeri 2 (ed anche 3 in alcuni casi) dei lungometraggi di precedente successo; eppure qualcosa è cambiato, nella fattura e nelle politiche aziendali di quello che dal 2000 al 2010 è stato uno degli studi di animazione migliore per guadagni e qualità (secondo forse solo allo Studio Ghibli).
Andiamo per ordine: la storia del Pixar Animation Studios inizia come studio fondato da ex lavoratori della Walt Disney, essi raggiungono il successo con il primo film d'animazione computerizzato, quel gioiellino che è "Toy Story"; passati dieci anni, nel 2005, la lunga ombra di Topolino allunga le sue mani guantate sul sempre più di successo studio, reduce da "Gli Incredibili", lo fa suo e fortunatamente la qualità non scende ma anzi vi è un netto miglioramento.
Ecco che un secondo periodo sovviene, dovuto probabilmente dalle scelte di marketing della Walt Disney e dall'idea di instaurare un cinema seriale, come con i film Marvel annunciati in blocchi con distanze quasi decennali, allo stesso modo la Pixar annuncia i suoi successivi lavori.
Quello che ci si presenta è una lista di sequel su sequel in puro stile Walt Disney (escluso "Coco") e la prima uscita è proprio il secondo film sulle avventure e disavventure del più famoso pesce pagliaccio e compagnia del mondo.
Non sarebbe un dramma se il valore della pellicola fosse pari a ciò che abbiamo visto con la trilogia di "Toy Story", ma purtroppo l'apripista del nuovo periodo di cinema Pixar non corrisponde a quello con cui eravamo abituati negli anni precedenti e potrebbe essere presagio di un corrotto tocco disneyano.
Sì perchè al contrario degli altri seguiti a cui eravamo abituati, ove vi era un deciso sforzo, ma soprattutto un perché a giustificare il continuo dei precedenti eventi presupponendo una crescita (come avveniva in "Toy Story") o un cambio totale di vedute (come abbiamo visto con "Monsters University" più adolescenziale e indirizzato alla vita al college), il lungometraggio di Dory non varia alcunché alla formula già collaudata con Nemo e a vedere i risultati economici la Disney ci ha sicuramente visto giusto.
Sorvolando su qualsiasi pregiudizio e andando ad analizzare "Alla Ricerca di Dory" notiamo la stessa medesima struttura narrativa del suo prequel, composto come un road movie sottomarino atipico fino all'arrivo al punto focale della storia in cui avviene la risoluzione e l'happy ending; nel primo era un acquario di un dentista, qui un acquario aperto al pubblico che permette un numero diverso di gag e nuovi personaggi. Questi ultimi sono anche troppi visto il loro rimanere anonimi e il solo scopo di divertire con nuove trovate legate allo specifico comportamento di creature del fondale marino, tutto ciò abbassa i toni della pellicola, non riuscendo mai a mescolare i giusti gradienti di comicità e reale natura dell'animale considerato, ai livelli degli squali vegetariani per capirci.
Si salva giusto qualche scena ben ideata e i flashback iniziali, questi inizialmente ampliano il personaggio di Dory per poi diventare velocemente stucchevoli e abituare così lo spettatore al finale simil-torta diabetica.
Le delusioni più cocenti non la danno una trama sterile e già vista o dei personaggi eccessivamente lemmatici bensì due caratteristiche a cui ci aveva ben abituato la Pixar qui del tutto assenti.
Non si può certo pretendere un'avanzatezza continua riguardo effettistica e grafiche computerizzate, ma in questo caso il comparto tecnico è il solito, con pochissime variazioni ambientali o ai personaggi che c'erano anni prima: è vero, stiamo parlando di pesci e siamo sempre su livelli altissimi quello è certo, tuttavia mettendo a confronto i due film facenti parte dello stesso universo narrativo abbiamo un primo capitolo che impressionò critica e pubblico per la potenza visiva dei fondali marini, al punto tale di lanciare un sottogenere dell'animazione (vedasi "Shark Tale" o "The Reef") contro un seguito che si accontenta di utilizzare la stessa vecchia barriera corallina e per di più le uniche variazioni le abbiamo soltanto quando i pesci escono fuori dall'acqua (il polpo che trasporta Dory, Nemo e Marlin nella piazza dell'acquario, una corsa in furgone e tanto altro), un vero e proprio paradosso.
Su tutti svetta ciò che (me compreso) ha portato innumerevoli interrogativi sui futuri calibro e spirito dei lungometraggi Pixar: le tematiche. Passi la narrazione, passino gli effetti grafici, ma se c'era qualcosa che faceva ben sperare in questo studio di animazione era la varietà; il suo impegno nell'offrirci sempre nuove riflessioni, che siano quelle di un anziano contro i suoi spettri della giovinezza o quelle di un robottino trovatosi di fronte ai controsensi umani in ambiti di natura e tecnologia, o esempio ancora più lampante e attinente le differenze tra il primo "Toy Story", il quale affrontava il drammatico quesito su qual è lo scopo dell'esistenza, anche fosse quella di un giocattolo, contro i suoi due seguiti che rispettivamente alteravano la loro forma con la scelta tra immortalità e mortalità per il secondo ed il tempo che scorre inesorabile unito al coraggio di accettare i cambiamenti per il terzo.
Questa era la forza della Pixar, forza che ha del tutto abbandonato con i suoi pesciolini (e anche automobiline ehm ehm), ripetendo il medesimo tema della rivalsa dell'handicappato con gli stessi identici sviluppi e le stesse identiche linee generali di riflessione i quali non portano alcunché di nuovo nello spettatore se non un senso di déjà vu.
Le emozioni latitano e le materie di elucubrazione pure, restano le solite vivacità e i soliti begli effetti tecnici che faranno felici i piccini ma non molto i grandi.
La scarsità di idee nuove è palese fin dai primi istanti del lungometraggio, tolto il divertimento e qualche sequenza altro non è che un usato sicuro su cui tutto aveva già detto Nemo precedentemente.
Ottimo esempio di un brutto cinema seriale che, ahimè, emana il profumo dei dollaroni.
Scene Cult:
• Il punto di vista apocalittico dei pesci con le mani dei bambini.
Pregi:
• Diverte senza pretese
• Effetti speciali
Difetti:
• La trama riproposta
• "Usato è sinonimo di qualità"
• I personaggi
• Troppe scene fuori dall'acqua
• Stucchevole
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