Regia di Massimo Troisi vedi scheda film
Ostia di nuovo
È molto difficile per me scrivere in maniera oggettiva di Troisi e del suo cinema, troppo forte la sua assenza e troppo importante la sua presenza. Quando guardo i suoi film la soggettività prende il sopravvento la risata è accompagnata dalla malinconia per quello che poteva essere e non è stato. La sua avventura di regista non può che cominciare da Napoli , città ancora ferita dal terremoto dell’anno prima e dalle grida della sua spalla di sempre, Lello Arena, vittima preferita dei suoi spunti comici. La fuga dalla città natale del nostro è causata forse anche da quelle urla dell’amico, quasi come se queste fossero il segno della Napoli stereotipata da sceneggiata alla quale il regista e attore si voleva negare. Gaetano vuole lasciare la sua casa per vedere altri posti non ha necessità economiche o di lavoro, semmai esistenziali. La sua cultura soffre ad aspettare il miracolo cosi come non accetta di vendere Dio porta a porta. La sua pigrizia sentimentale gli complica i rapporti con le donne in un mondo di pazzi dove l’amore libero è veramente tale e l’onore un concetto ormai da superare. Il nostro cerca insomma di mediare tra un passato fatto di fedeltà tradizionali e un futuro di costumi instabili. Tutto viene risolto con la comicità, il dialogo con la zia nel bar di Firenze è geniale, dopo che il nipote ha scoperto la relazione della parente non ancora divorziata con un altro uomo. Il finale è ancora oggi qualcosa che lascia senza parole, quando scopri che potresti essere padre di un figlio non tuo e che ti devi tenere questo dubbio atroce per sempre e lo puoi risolvere solo con una polemica sulla lunghezza del nome che è rimasta proverbiale. Troisi era capace di smontare la logica fatalista delle cose che si spostano da sole per affrontare senza volgarità o furbizie la difficoltà dei rapporti con le donne liberate dal femminismo.
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