Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Zero Moustafa, indiano naturalizzato europeo, è l’ultimo superstite, erede e devoto custode delle memorie del decadente Gran Budapest Hotel, barocco albergo sperduto tra le montagne impervie dei Balcani, del quale è stato fedele portinaio nei giorni di gloria, assistendo a grandi e piccoli fatti. Un giorno accetta di affidare i ricordi della sua incredibile e rocambolesca esperienza ad un giovane scrittore che ne trarrà spunto per un romanzo di successo.
Wes Anderson prende spunto dalle opere di un misconosciuto drammaturgo austriaco del secolo scorso per sfoggiare le sue doti di eccentrico narratore girando un rutilante racconto a strati, abitato da personaggi bizzarri coinvolti in situazioni da favola e farsa, che riscrivono in termini quasi carnevaleschi uno dei capitoli più crudi e oscuri della storia recente, ovvero quello dell’espansione del nazifascismo, mai veramente citato in maniera esplicita, anche perché l’intera vicenda si svolge nell’inesistente Repubblica di Zubrowka, immaginario paese collocato a metà tra Europa e Caucaso ma di fatto quasi fuori dal mondo.
Di indubbio grande impatto visivo la fotografia, grazie a costumi e scenografie lussuose, e ad un cast assortito di nomi e volti noti e cari al regista (Fiennes, Law, Wilson, Murray, Schwartzman, Brody, Norton, Dafoe ...), alcuni dei quali sulla scena per una manciata di minuti, eppure la trama ad un certo punto sembra diventare inutilmente ingarbugliata, un futile pretesto per la lunga carrellata di citazioni, inquadrature, camei, trovate ora comiche (non sempre divertenti) ora disarmonicamente romantiche, come a ribadire che si tratta di una favoletta, anche melensa e non necessariamente verosimile.
Peccato che però, mentre si assimila che l’intenzione dell’eclettico cineasta non andrà oltre la celebrazione della fantasia e dell’imprevedibilità della vita, l’attenzione dello spettatore finisca per smarrirsi e traballare e la visione non riesca in definitiva ad appassionare più di tanto.
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