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Grand Budapest Hotel

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Grand Budapest Hotel

di mm40
6 stelle

Prima metà del Novecento. Gustave, portiere del Grand Budapest Hotel, ne è a tutti gli effetti il capo poichè il direttore raramente si fa vedere da quelle parti. La sua storia è travagliata e ricca di emozioni, a partire da quando una ricca anziana morì lasciandogli in custodia un prezioso quadro, cosa che fece infuriare gli eredi della donna. Per Gustave si aprivano le porte del carcere proprio mentre scoppiava la guerra.

 

Scopriamo così che nel colorato e roboante mondo di Wes Anderson c'è anche un albergo: decadente, ma ricco di fascino, chiaramente, e di storie soprattutto. Quanto più incredibili, tanto più verosimilmente accurate di dettagli minuziosi, esattamente come piace al regista e sceneggiatore, che dice in questa occasione di essersi ispirato all'opera di Stefan Zweig, scrittore austriaco ebreo perseguitato dai nazisti. Il tono di accusa verso dittature e guerre è ben presente nel film, che decide di non puntare il dito direttamente contro nessuno - per mandare presumibilmente un messaggio universale e sempre valido - ambientando la sua storia nell'immaginaria repubblica di Zubrowka. Cast azzeccato e stellare (Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Willem Defoe, Adrien Brody, Bill Murray, Jude Law, Harvey Keithel, Jeff Goldblum...), con un co-protagonista giovanissimo, non molto noto e già sicuro come Tony Revolori; la mirabolante girandola di eventi e parole che travolge l'hotel del titolo ha qualcosa di Tim Burton, così come i riflessi dolci e amari della trama ricordano in certi momenti lo stile dei Coen, ma in primis bisogna sempre ricordare che Anderson ha studiato alla scuola di Fellini: e si vede bene. Personaggi caricaturali, azione corale, situazioni oniriche sono nel menu anche di questa pellicola, che si è aggiudicata il Gran premio della giuria a Berlino (e come dare torto alla giuria?). Rimane comunque il dubbio che nel mondo andersoniano ci si possa sentire ugualmente a proprio agio o a disagio, a seconda che lo spettatore decida di accettare le stravaganze narrative e registiche del Nostro (vero autore, indubitabilmente) o meno. 6,5/10.

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