Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Non manca di certo la fantasia a Wes Anderson che si conferma con quest’opera autore non per tutti i gusti (il suo stile è a dir poco particolare), ma anche, per non dire soprattutto, dotato di un’originalità di fondo che, per quanto abbia toccato vari fronti nel corso degli anni, lo fa sempre riconoscere fin dai primi scampoli di pellicola.
Gustave H (Ralph Fiennes) è un concierge impeccabile che finisce in una storia più grande di lui quando una sua anziana, ed amante, cliente (Tilda Swinton) muore designandolo come erede di un quadro di grande valore.
Coadiuvato dal suo giovane aiutante (Tony Revolori) dovrà vedersela con Dmitri (Adrien Brody) che vuole ad ogni costo quel quadro, tra una fuga di prigione, la guerra che sta per scoppiare ed un sicario (Willem Dafoe) che non si fa certo problemi ad eliminare chi si frappone sulla sua strada.
Funambolico ed eccentrico, trattasi di un film in puro stile Wes Anderson al 100%, cosparso di invenzioni che spaziano da quelle narrative (il narratore cambia ed il punto di vista pure, il linguaggio è talvolta arguto, altre volte in assoluta libertà) a quelle figurative (la finta facciata dell’albergo, il cielo espressionista che fa da sfondo), arrivando a frangenti comici irresistibili che richiamano giocosamente la comicità slapstick (ad un certo punto sembra di vedere una lunga gag di “Stanlio e Ollio”), senza dimenticare la presenza di un paio di loschissime figure che arricchiscono di un pizzico di nero il variopinto ritratto.
Un racconto servito tutto d’un fiato, almeno da quando la storia entra nel vivo con Gustave (ma anche l’introduzione ha un gusto retrò avvolgente), che propone una galleria di personaggi da strabuzzarsi gli occhi; certo qualcuno potrebbe rimanere deluso dal modesto spazio riservato a taluni di loro (un esempio per tutti, Bill Murray non può regalarci nemmeno un acuto), ma ci mettono giusto un attimo quelli in prima fila, o subito dietro ad essa (a tutti gli effetti Ralph Fiennes ricopre il ruolo preponderante), come Willem Dafoe e Harvey Keytel a farcene dimenticare con alcune sequenze magistrali.
In tal senso la migliore, per corposità ed spirito inventivo, rimane la fuga di prigione, una manciata di minuti trascinanti, mentre lo spietato (e a dir poco riuscito) personaggio di Dafoe ci mette assai di meno ogni qualvolta compare per lasciare evidente traccia di se.
Un film dunque ricco di aspetti intriganti, dotato di un incedere senza pause e che per chi scrive rientra tra i migliori tre titoli del regista cosa che di per se è già un complimento notevole, ma assolutamente meritato.
Stravagante ed autentico.
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