Regia di Simone Bartolini vedi scheda film
Simon Pietro si muove nella capitale senza monumenti: asfalto e cemento di periferia, coltre di grigio su Roma dove gli unici soldi che girano vengono arrotolati per sniffare. Simon Pietro gira a vuoto casco in spalla, la mdp gli si incolla alla faccia - pallida, tesa, normale - mentre entra ed esce dai locali, mentre i clienti entrano ed escono da casa sua con la “roba” in tasca e il pagamento prorogato. Mentre il debito nei confronti di un pesce più grosso si allunga come un’ombra sul letto, e pure i sogni s’intossicano. Ci sono volti più veri del vero e corpi tatuati, carrelli a seguire che anticipano il baratro della dissoluzione e frammenti di serate fetish, bondage, «merda totale»: basso budget e musica rap, per un esordio che infila l’occhio nel formicaio e segue lo sguardo dell’insetto. La visuale è insensata come i movimenti dei personaggi, che trafficano per tirare a campare e campano di espedienti senza destinazione. Se la regia non si crogiola nel sensazionalismo, inciampa in qualche azione meccanica - il montaggio sincopato del “farsi”, l’immagine febbrile posata sui brividi di Simon Pietro come una coperta a misura di momento. I momenti sono rapidi e crudi, alcuni più gratuiti di altri (la preparazione a un rapporto sadomasochista, l’incursione tra i neon e gli aghi violenti di un inferno underground) ma tutti consumati con desolante disperazione. Il ricordo di Henry è troppo vicino - e al contempo inavvicinabile - ma non inficia l’onestà delle intenzioni, in questo giro di giostra mortifera sulla schiena degli animali piccoli.
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