A volte, come in questo film, l'azione perde la sua efficacia in favore di una narrazione che procede valorizzando contesti e sfondi paesaggistici troppo imponenti e superbi per limitarsi a rimanere statici contorni contemplativi. Tra le vette aguzze aspre solcate da nebbie inquietanti, ideale presagio di tragedie della solitudine e di un destino accanitamente inclemente, tra pinete fredde e millenarie solcate da ruscelli impetuosi e furenti di potenza e spuma di ingorghi e mulinelli, il destino di una famiglia di giovani pastori marito e moglie, si sgretola ed avvia verso la tragedia con l'uccisione a sangue freddo del giovane marito e padre di due bambini, freddato sul colpo dal proiettile di un fucile di un avversario che, se bene abbiamo compreso, ne insidiava la giovane e bella moglie.
Negli occhi del figlio piccolino il corpo ancora caldo ma senza vita del padre, fulminato a poca distana da lui, rimane un ricordo agghiacciante indelebile che non si cancellera' mai. Anni dopo i due ragazzi, fratello e sorella, dovranno affrontre l'ulteriore dolore della sepoltura di una madre gravemente ammalata, che li abbandona inesorabilmente pure lei troppo presto: la vita da soli nella fattoria, con gli animali da pascolare e la terra da coltivare, non sarebbe un problema troppo grave od uno sforzo fisico insormontabile per la bella figlia sedicenne e per il fratello decenne, instancabile lavoratore.
Il pericolo sono gli altri esseri umani tutto intorno: un ragazzo disturbato ma fortemente attratto dalla fresca bellezza della ragazza, corpo diafano sovrastato da una chioma bionda che l'uomo spia mentre si lava nei pressi di una cascata, scatena la violenza piu' irrefrenabile quando costui si vede respinto dalla donna: ne scaturisce una sottomissione e la violenza ripetuta, anche davanti al fratellino, gia' succube degli orrori della morte violenta del padre.
Come gia' premesso poco sopra, la narrazione si limita ad accennare e a lasciare alla intuizione, al non visto o alla rappresentzione in secondo piano, e dunque quasi ad una visione lontana all'orizzonte, dei fatti e delle brutalita' di una umanita' imbestialita dalla solitudine, abbagliata dalla bellezza e pretende di far propria, di consumare e poi sbriciolare una volta sazi. Markus Bunder, esordiente austriaco, fa propria la freddezza e crudelta' gia' propria di una cinemtografia che ha nel conterraneo Haneke il suo piu' noto e celebrato esponente. La contemplazione quasi religiosa del corpo fino a poco prima immacolato della splendida Sophie Lowe, si potrae con la stessa ostinazione sulle ferite e sulle contusioni che sono solo le tracce esteriori e piu' evidenti di una violenza devastante anche moralmente, laddove era gia' stato poco prima difficile sopportare la perdita dell'ultimo genitore in vita dopo la morte violenta ed improvvisa del padre.
E mentre la natura resta a guardare, dura ed inflessibile, inclemente dall'alto della sua potenza che si abbatte indiscrimintamente sui pochi esseri umani in fuga uno dall'altro, alla fine un'azione violenta ristabilizzatrice porra' fine alla brutalita' gratuita di una umanita' involgarita dall'istinto, che la rende micidiale come una belva ferita.
Affascinante piu' che bello o riuscito, il dramma montano di Blunder si salva dagli eccessi coloriti della follia evitando lo splatter e concentrandosi sui tempi di attesa, sui rancori mal sopiti, sulle inquadrature dirette ed impudiche di volti storpiati dalle smorfie della cattiveria o del dolore, fisico e morale: espressioni che ben si prestano a contrastare la purezza dell'innocenza violata dei due orfani protagonisti.
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