Regia di Claudio Amendola vedi scheda film
Claudio Amendola, oggetto strano del cinema italiano dato che sul grande schermo è attore dotato e sempre in parte mentre si rovina sul piccolo schermo con scelte più che discutibili, sceglie di esordire dietro la macchina da presa defilandosi. Non solo non appare tra gli attori, ma la sua regia non è urlata, è invece silenziosa, classica, senza il peso del “nome” che vuole dare una linea estetica precisa. Ed è anche il punto di forza dell’intero film, tutto giocato sul cliché degli smidollati e inconcludenti tipici della contemporaneità italiana che inseguono un sogno per riscattarsi, impreziosito dalle ottime performance dei quattro protagonisti: Leo, Memphis, Fantastichini e Fassari. Tutti irresistibili, perfettamente consci del ruolo e del contesto, e anche capaci di sfumare la caratterizzazione con pennellate di introspezione, rapide, indolori, ma sentite. Anche Francesca Inaudi, da sempre erroneamente messa ai margini dello star system italiano, ha la bellezza e la freschezza di un fiore in un campo incolto. Per non parlare del grande Sergio Fiorentini – che ogni volta che sento mi fa tornare in mente Gene Hackman – e il piccolo Damiano De Laurentis, davvero maturo e naturale come in La nostra vita (2010).
Film prevedibile, ma che né annoia né irrita. Amendola decide di far parlare i caratteri, i simboli, i cliché, innescando il tipico gioco intertestuale con film affini, di tipo sportivo, di riscatto famigliare, tra cui mi sovviene Cool Runnings (1993), mentre è lo stesso protagonista, Edoardo Leo, a citare il Rocky di Stallone. Un valore aggiunto che fa del film una piacevole compagnia, senza data di scadenza.
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