Regia di Morgan Spurlock vedi scheda film
Prima c’è stato I Love One Direction, il doc fatto «dai fan per i fan» (due camere e cucina, doppiaggio amatoriale, cuori disegnati a bordo schermo): una ingenua ed enciclopedica incursione nell’ossessione (sana, fin troppo) di miliardi di teenager. Ora dirige Morgan Spurlock (ma le commissioni e le intenzioni - cordialmente agiografiche - sono del produttore Simon Cowell) e insorge qualche complicazione dettata dalla prospettiva. Perché i 5 ragazzini britannici, messi assieme per un talent show e assurti a fenomeno musicale internazionale, s’illudono di declamare la propria scarna essenza nelle 3 parole del sottotitolo (questi siamo noi), ma ricevono un attestato cinematografico più avvincente di quello dedicato a Katy Perry. Con un po’ di malizia s’intravedono infatti, tra le arene magistralmente stereoscopiche e le suite d’albergo vissute ma mai troppo (l’eccesso, qui, è una dimensione inesplorata), i sintomi altalenanti di un punto di vista. Questo sconosciuto che strizza un occhio allenato all’industria, promuovendo gli idoli imberbi come i nuovi Beatles, mentre l’altro affetto da peculiare strabismo inquadra i genitori delle star con la pietà riservata ai concorrenti di reality, immortala gli sciocchi divertimenti dei divi con una frequenza che sfiora l’accanimento terapeutico, innesca grotteschi parallelismi col fanciullesco entusiasmo dei loro fan giapponesi. L’atterraggio è morbido, perché il film funziona come un materasso a molle rivestito di velluto, e tutti sono contenti. L’amore, già cieco, è offuscato da un’ottima messa in scena.
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