Regia di Alberto Sironi vedi scheda film
Un episodio de “Il commissario Montalbano” particolarmente
ingarbugliato, verboso e statico. Tante, troppe parole trascinano stancamente l'investigazione verso un finale spento e frettoloso che tronca la narrazione all'improvviso. Se la qualità scarseggia, la routine abbonda. Beninteso, nel caso della serie dedicata al celebre poliziotto di Vigata, non si tratta di scarsa qualità di partenza, ma di scarsa qualità di arrivo: la formula è ormai logora, consunta, ripetitiva fino allo sfinimento, di una noia abissale; l'unica cosa ad essere sensibilmente migliorata è la cadenza siciliana del romano Zingaretti. Il fatto che il suo commissario riscuota ancora tanto successo lo imputo all'appiattimento dei gusti. Spettatori come cani pavloviani. Vista una puntata, le hai viste tutte. Dopo decine di episodi, non se ne può più. A mio avviso, è un programma che resiste nella classifica di quelli più visti in TV, nonostante anni di messa in onda, perché apprezzato in modo particolare da quei tanti anziani che usano Montalbano come tisana per prendere sonno, dai mafiosi - anche quelli, come i vecchi, sono parecchi - a cui piace vedersi rappresentati in una dimensione strapaesana e da tutti i siciliani, che lo guardano per motivazioni più che altro campanilistiche: ammirano quelle ambientazioni da loro conosciute e amate e che, a differenza degli intrecci gialli spiattellati in maniera sempre più fiacca e inutilmente intricata, non stancano mai, sono sempre una festa per gli occhi.
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