Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
Dico subito che il film non solo mi è piaciuto ma mi ha entusiasmato, soprattutto (a parte gli ottimi interpreti, pur con un dubbio che in seguito chiarirò) per il talento con cui il regista e co-sceneggiatore l'italiano Andrea Di Stefano riesce magistralmente ad unire una felice poetica narrativa da romanzo con una infallibile tensione degna di un thriller perfetto. A proposito poi di sceneggiatura, non posso fare a meno di notare un dettaglio curioso. Questa è stata scritta da due personaggi che singolarmente condividono come attività secondaria quella dell'essere attori: Di Stefano sarà co-protagonista (salvo errori) del prossimo film di Pif, mentre Francesca Marciano in anni ormai lontani interpretò pochi film ma di cui è rimasta significativa memoria cinefila (da Pupi Avati a Lina Werthmuller) prima di dedicarsi anima e corpo a decine di sceneggiature quasi sempre pregevoli. Sì, come dicevo, il film ha l'andamento di un romanzo e infatti al centro del racconto c'è un eroe popolare, balordo e populista all'inverosimile ma sicuramente "masaniello" adorato dalla sua gente. Tuttavia questo gusto del racconto "drammatico" non priva lo spettatore del piacere della tensione narrativa propria del thriller, rendendo la visione (specie nella fasi finali) anche un po' ansiogena. Il piacere della visione sta in gran parte nell'assistere all'evolversi di questo fenomeno popolare che è stato il mito di Pablo Escobar. E sono tante le riflessioni che si potrebbero fare sulla triste parabola di un uomo che seppe trasfigurarsi in un eroe del popolo, quasi un salvatore della società e del benessere di una nazione, la sua Colombia. Acclamato dalla gente umile come un giustiziere sociale, quando in realtà sappiamo bene (e lo sapeva anche la gente che lo idolatrava!) che si trattava di un cinico trafficante di cocaina, che proprio sulla cocaina costruì tutto il suo potere. Una figura di uomo pieno, pienissimo, di sè, che si credeva invincibile ma che fece la fine di un topo. Con tutti i suoi scagnozzi che parevano anch'essi invincibili ed erano solo dei delinquenti violenti e null'altro. Non che debba esser cercata in tutto questo una morale, ma un pensierino forse sì. Mai fidarsi di chi aizza il popolo contro i "politici ladri" con stile populista e demagogico, perchè -attenzione- quando questo accade su una base sociale fatta di miseria e di ignoranza, si può appiccare un incendio che sarà difficile placare e che porterà al dramma sociale e allo scontro civile. Ogni riferimento a "forconi" e a "secesssioni" vagheggiate NON è puramente casuale, anzi. A parte poi che io non riuscirò mai a capire perchè il popolo colombiano stesso ma anche l'America ci abbiano messo tanto a capire che la deriva "popolare" di Escobar si reggeva sul mercato criminale della droga pesante. Ma poi è ovvio pensare a quello che è il Messico di oggi, dove sotto i nostri occhi c'è un potere politico rappresentato dai cartelli della droga, e dove i narcos comandano su tutto con sistemi esplicitamente criminali. Ma torniamo al nostro bel film. Recitato da ottimi attori. Ovviamente a primeggiare è un Benicio Del Toro se possibile ancor meglio del solito perchè qui riesce a controllarsi (per intenderci: non gigioneggia ed è spaventosamente bravo). Poi da segnalare la bellezza (e il talento) di Claudia Traisac (una mora stupenda!!) che impersona Maria, nipote di Escobar. E poi segnalerei anche un efficace Carlos Bardem (fratello di Javier) perfetto nel ruolo di un bieco tirapiedi di Escobar. All'inizio di queste note accennavo ad una mia perplessità. E mi riferivo alla prestazione di Josh Hutcherson, attore che anche qui come altrove non mi ha mai convinto del tutto. O meglio: ho l'impressione che ce la metta tutta ma che debba ogni volta fare i conti con una limitata espressività.
Anyway, un film di valore. E molto coinvolgente.
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