Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GALA
ESCOBAR: LOST PARADISE segna l'insolito esordio del noto attore italiano Andrea Di Stefano (Il principe di Homburg di Bellocchio, Angela di Roberta Torre, Cuore Sacro di Ozpetek) alla direzione di un'opera internazionale. In un festival come quello di quest'anno caratterizzato da esordi italiani a largo respiro (proprio ieri il valido Last Summer di Leonardo Guerra Seragnoli), scoprirne uno con attori e divi americani del calibro di Benicio Del Toro, lui che dopo il “Che” di Soderbergh si trova inevitabilmente di nuovo alle prese con un biopic su un personaggio di cui nessuno potrebbe immaginare altri se non lui a ricoprirne le vesti, dà una certa immagine nuova, onore e orgoglio ad un cinema come il nostro spesso anche apprezzato internazionalmente, ma non certo aperto e votato alla internazionalità.
Citiamo Del Toro ma avreste dovuto sentire le grida selvagge delle ragazzine quando nell' immenso Auditorium Santa Cecilia la voce di presentazione pronuncia il nome del divetto tanto apprezzato conosciuto come Josh Hutcherson. Onore al merito di tanta riuscita, ma qualche dubbio sin dal titolo, almeno quello che circola in Italia, che vede il nome di Escobar campeggiare prima di ogni altra parola.
La figura controversa del più noto, spietato e potente trafficante di droga colombiano infatti, viene quasi messa in secondo piano nel raccontarci le gesta di contorno, ovvero quelle di un ragazzo canadese che, giunto nelle spiagge tropicali del paese della droga per aprire un locale sulla spiaggia assieme al fratello da dedicare ai surfisti, si imbatte ed innamora di una nipote di Escobar, venendo a contatto col criminale e divenendone, suo malgrado, uno stretto confidente.
La vicenda, sceneggiata anche dalla validissima Francesca Marciano, filmata anche con una certa destrezza ed un ritmo da blockbuster americano che appare anche coerente col prodotto di largo consumo, rimane tuttavia a mio avviso eccessivamente legata ad una storia di contorno che svia dal personaggio carismatico che a tutti (o quasi) interessa, e che è quello del brigante, sviluppato e reso coerentemente da un Del Toro mastodontico, animalesco e che mette davvero paura, ma che tuttavia non ha il tempo (non gliene viene proprio dato) per coltivare e rendere la sua figura il personaggio a tutto tondo, tremendo e controverso quale è stato il pericoloso narcotrafficante.
Un boss tutto casa e famiglia, massacri e vendette; una personalità dotata di slanci di generosità e di furie senza pietà che rendono davvero contraddittoria ed ambigua la sua figura, meritevole di un baricentro più focalizzato su se stesso e meno sul più banale e qualunque ragazzino canadese preotagonista assoluto della storia, vittima di una personalità malvagia e straripante, succube di un destino che sfocerà nel sangue. Nulla si accenna al mercato della droga che lo ha reso una potenza, nulla riguardo alla sua organizzazione e rete di smercio per tutto il mondo. Un episodio familiare ed un incubo per un ragazzo canadese e la sua famiglia prescelti per confezionare un thriller di cassetta piuttosto concitato, ben diretto da in Di Stefano che tutto pare fuori che un esordiente, ma anche scontato e dagli esiti prevedibili.
Onore al merito e meritati applausi di stima al regista promettente ed abile dalla platea di una sala Santa Cecilia piena fin quasi al tutto esaurito, ma comunque, nonostante tutto, un sapore acidulo in sottofondo come di delusione per quel che poteva essere il film sul narcotrafficante più famoso nelle mani di un attore sanguigno e unico come Del Toro.
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