Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film
L'impresa di Andrea Di Stefano.
Esordire come regista-sceneggiatore in una produzione 100% internazionale?
No: sprecare, smitizzare, riducendola a formina di sabbia, una figura leggendaria come Pablo Escobar e di conseguenza il grandioso attore che lo interpreta, ovvero quel Benicio del Toro indiscutibilmente e geneticamente nato per quel ruolo.
Il tutto per un'operina non inguardabile, ma senz'altro piatta, mesta, anonima, dalla consistenza molle e dimenticabile di un prodottino televisivo da afoso pomeriggio (laddove, nell'aurea dimensione della serialità di qualità, una scena a caso di Narcos si divora cotanto pacco informe).
Difatti, per un Escobar: Paradise Lost (mah, un filino esagerato, eh) che giunge con un paio di annetti di ritardo nella nostra penisola dopo essere passato al TIFF e nelle sale americane, francesi e spagnole (con esiti certo non proporzionali rispetto alle dimensioni del soggetto), sono già in cantiere ben due altri progetti legati al celeberrimo narcotrafficante (uno con Javier Bardem, l'altro con John Leguizamo).
Un film, quello di Di Stefano, impostato su uno standard medio(cre); e lì vi rimane, pur avendo avuto l'idea, potenzialmente interessante, di adottare un punto di vista particolare, ossia quello del giovane insegnante di surf, il canadese Nick (Josh Hutcherson), che si trova invischiato suo malgrado nella rete dell'onnipotente signore della droga essendosi innamorato della sua adorata nipote Maria (Claudia Traisac).
Che gli intrecci con la storia siano più o meno reali o almeno plausibili, importa poco: quello che conta, purtroppo, è l'eccessivo didascalismo, l'elementare schematismo, che trascinano tutta la prima parte su un livello monotono e lineare, privo di asperità o sfumature rilevanti, e in grado di offrire soltanto chiavi di lettura generiche, casuali.
Stante la capacità di poter incidere sul linguaggio, invero palesemente canonico, pavido, e vista la mancanza di contenuti e sottotesti significativi - che non costituiscano cioè mero accessorio - la (modesta) narrazione prende il sopravvento fagocitando qualsiasi potenziale senso ulteriore della pellicola.
Un raccontino dunque che, pur non risparmiandoci nulla sulla storia d'amore e relativi tormenti, sul rapporto (non richiesto) con Escobar, sulle attività criminali e la parabola di quest'ultimo eccetera, riesce tuttavia a non esplorare alcunché su questioni degne di nota (individuali, collettive, morali, politiche, legali, storiche), a non approfondire alcun aspetto, né tanto meno a dare il giusto spessore ai personaggi, che anzi paiono essere burattini in un disegno non solo poco ispirato ma pesantemente affollato di didascalie, annotazioni, spiegazioni, raccordi, semplificazioni, colpi di scena (presunti) e simbologie (superficiali).
Evapora così in una nuvoletta di coca tagliata male anche la seconda - più movimentata - parte: un po' di spari, un po' di sangue, un po' di azione e tensione, e via, il finale ad alto tasso di emotività (spiccia, ma tendente al metodo "telenovela") abbozzata sui volti dei giovini Josh Hutcherson e Claudia Traisac, è servito.
Ultimo appunto sul cast: detto di Benicio del Toro (ma come si fa ...), altro spreco riguarda quell'incanto di Ana Girardot (Les Revenants), relegata a un paio di misere battute; mentre chissà quale mistero insondabile si cela dietro la scelta dell'inadatto Hutcherson ...
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