Regia di Scott Frank vedi scheda film
Realizzare opere originali o di precisione millimetrica nella categoria thriller sembra essere sempre più un’impresa impossibile e nemmeno A walk among the tombstones riesce a formare un itinerario in grado di spiccare dal volgo. Comunque sia, il regista Scott Frank (Sguardo nel vuoto), ispirandosi dai romanzi di Lawrence Block, riesce a costituire un procedimento che, pur non trovando continuità qualitativa, riproduce abbondanza di personaggi, legami e risvolti tra i quali non è poi così complicato trovare degli acuti da ricordare, anche se ci riesce rovistando a mani basse in più direzioni.
Nonostante più di una ritrosia, l’ex poliziotto Matt Scudder (Liam Neeson) accetta di aiutare il trafficante di droga Kenny Kristo (Dan Stevens) a rintracciare chi ha rapito e ucciso brutalmente sua moglie.
In poco tempo, scopre che non si tratta di un caso isolato e, mentre un’altra ragazzina è rapita seguendo le medesime modalità, stringe amicizia con un perspicace ragazzino (Astro) che non ha alcuna intenzione di rimanere in disparte.
La preda perfetta offre più quantità che qualità, o meglio, il ventaglio di opzioni disponibili è quanto mai variegato anche se non costituito di soli cavalli vincenti.
Il percorso è sostanzialmente consolidato, con un personaggio dal passato ombroso che ha affrontato un lungo percorso, ma non si finisce mai di stupirsi di fronte alle nefandezze di cui è capace l’essere umano ed essere integerrimi nelle lezioni di vita è un lusso che non sempre si può mantenere.
Ancora una volta, Liam Neeson è un giustiziere sui generis ma rispetto ai vari Taken, e non solo, riscopre una gravitas emotiva consistente, grazie anche alla descrizione, abbastanza articolata, del suo Matt Scudder.
Il resto è prelevato da pagine collaudate dal tempo - la serie di romanzi di Lawrence Block - e Scott Frank è ben conscio di come alimentare la messa in scena, ricreando un’ambientazione dettagliata quanto basta, una New York diversa dal solito, ponendo in evidenza l’elemento estetico, fatto di luoghi, edifici e dettagli che lasciano poco al caso, coltivando allo stesso tempo un numero cospicuo di legami personali. Con una certa cadenza, le parole lasciano il campo all’azione (ad esempio, il racconto rivissuto del primo omicidio è tesissimo), all’attesa (la frenesia è una cattiva consigliera) o alla riflessione su un panorama umano che non concede porti sicuri ai quali appellarsi (in fondo, anche le vittime non fanno parte di quella parte di cielo che si può riconoscere come bene).
Di riflesso, il linguaggio è secco e l’atmosfera plumbea pare sempre orientare al peggio - anche l’ultimo fotogramma, siamo nel 1999, non è per niente casuale -, mentre è interessante la figura di un ragazzino che ha dovuto imparare a stare al mondo prima del tempo e, di conseguenza, lo è altrettanto il suo rapporto con Scudder.
Alla resa dei conti, il film non possiede l’impalcatura da grande thriller, i veri colpi di scena sono rari, c’è qualche excursus di troppo e l’andamento è sinusoidale, ma non difetta in argomentazioni valide a supporto, con un contorno ampio e un finale che segue la lezione impartita dalla scuola del noir e dei suoi eroi.
Tra pro e contro, la bilancia pende, seppur di decimali, dalla parte positiva.
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