Regia di Liza Johnson vedi scheda film
Consuetudini e rivelazioni, carreggiate prestabilite e fulmini a ciel sereno. Prima o dopo, arriva per tutti il momento in cui sopraggiunge una straripante voglia di fare qualcosa di diverso, di uscire - con convinzione - dalla propria comfort zone, mostrando un volto diverso, impadronendosi di vesti inedite. Ad esempio, succede con una certa costanza agli attori che, alla ricerca di nuovi stimoli, intendono dimostrare di sapersi districare in spartiti indicativamente lontani da quanto il pubblico è abituato a recepire, ad accogliere con applausi scroscianti.
Con Hateship loveship è il turno di Kristen Wiig, che occasionalmente regala sorprendenti detour (vedi anche Nasty baby) all’interno di una carriera contraddistinta in maniera preponderante da pellicole comiche. Il film è integralmente cucito su di lei, che risponde alla chiamata con un’interpretazione consistente e compatta, certosina e misurata oltre ogni ragionevole previsione.
Johanna Parry (Kristen Wiig – Le amiche della sposa, Ghostbusters) è una donna sola, che destina tutte le sue forze per assistere persone bisognose di un supporto costante e puntuale.
Così, dopo aver servito un’anziana in punto di morte, accetta l’incarico offertole dal signor McCauley (Nick Nolte – 24 ore, Il principe delle maree), seguendo sua nipote Sabitha (Hailee Steinfeld – Il grinta, Bumblebee).
Per colpa di una manipolazione ordita tramite email dalla ragazza con una sua amica, Johanna crede di essere corteggiata da Ken (Guy Pearce – Memento, L.A. Confidential), il padre di Sabitha, da tempo allontanato dalla famiglia a causa di un’immane tragedia e delle sue dipendenze, che lo rendono totalmente inaffidabile.
Di punto in bianco, Johanna si presenta alla porta di Ken. Nonostante capisca subito di essere vittima di un tranello crudele, la donna comincia a prendersi cura del derelitto Ken, noncurante della presenza di Chloe (Jennifer Jason Leigh – Inserzione pericolosa, L’ultima eclissi), una tossica che ha una duratura relazione con lui.
La sua pacata e indefessa ostinazione potrebbe condurla a risultati sorprendenti.
Ricavato da una short story scritta dal premio Nobel per la letteratura Alice Munro nel 2001 (al cinema, la ricordiamo per Julieta di Pedro Almodovar), Hateship loveship è un feel good movie indipendente che naviga all’interno di moti interiori, di una sequela di malesseri atavici che descrivono una società malata e vagabonda.
Principalmente, esprime la difficoltà di comunicare, di aprirsi ed esporsi, di uscire da una rotta designata, qualunque essa sia, la preferenza per un pareggio indolore rispetto a una possibile sconfitta, convogliando chi si prodiga per il prossimo, mettendo ordine in tutto ciò che tocca, con chi riesce solo a disintegrare qualunque cosa entri nel suo cono visivo.
Comunque sia, è chiaro come la mancanza sia un segno condiviso, come le necessità rimangano soggiogate, stilando uno statuto consolidato e complicato da intaccare. La solitudine prolungata e le dipendenze segnanti appartengono dunque a due facce della stessa medaglia, a stili di vita che, per quanto distinti tra loro, tendono a creare isole, ad allontanare le persone.
Tuttavia, Hateship Loveship ha un manifesto che rischiara, che suggerisce di non perdersi d’animo, di provare a scardinare le corazze, proprie e altrui, personali e della controparte. Un’iniziativa perpetrata senza strepitare, con vibrazioni positive emanate talvolta anche maldestramente, in ogni modo in linea a quanto può fisiologicamente verificarsi tra due individui presi a caso.
Uno scenario pienamente condiviso e perorato dal cast, che esibisce una nitida comunione d’intenti. Se è prima di ogni altra cosa l’occasione per ammirare Kristen Wiig alle prese con un personaggio distante anni luce da quelli che l’hanno resa famosa, interpretato in perentoria sottrazione, Guy Pearce, Nick Nolte e Hailee Steinfeld contribuiscono aggiungendo ulteriori mattoncini.
Alla fine, Hateship Loveship è un film tascabile, vellutato e sensibile, che emette segnali rinfrancanti, concepiti e propugnati con uno spirito indie. Scuote dall’apatia e invita a uscire dalla difensiva, a riattivare la reciproca direttiva dare/ricevere, con le sue anime in pena - tra adolescenti tormentati, adulti insoddisfatti e anziani rassegnati - che, in fondo, avrebbero solo bisogno di una piccola spinta per (ri)cominciare ad avere fiducia nel prossimo e respirare a pieni polmoni.
Tra contatti e inibizioni, lampi di felicità e delusioni, vizi e virtù, rovine e arcobaleni, esternazioni e titubanze, sollievo e sconforto, premure e cattiverie, non esente da alcune leggerezze (a fin di bene).
Generoso.
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