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Lo stato della follia

Regia di Francesco Cordio vedi scheda film

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La recensione su Lo stato della follia

di (spopola) 1726792
8 stelle

Per avere con coraggio documentato la condizione disperata in cui versano gli ultimi OPG italiani, comunemente chiamati manicomi criminali. Uno spietato atto d’accusa e un invito a non dimenticare chi, spesso senza alcuna colpa, per troppo tempo è stato ferito, umiliato e abbandonato” : questa la motivazione della Menzione Speciale con cui la giuria del Bari Film Festival 2013 ha premiato  “Lo stato delle cose” (realizzato da Francesco Cordio in collaborazione con “Teatri di Nina” e “Indipendent Zoo Troupe”).

Scritto dallo stesso Cordio insieme a Leonardo Angelini e Diego Galli (qui alla loro terza collaborazione) il film è un viaggio crudele e necessario in luoghi remoti e sconosciuti (non solo geograficamente parlando), che ci costringe ad addentrarci nella parte più oscura e fragile dell’animo umano. Un vero pugno nello stomaco per lo spettatore, che diventa però un terribile atto di denuncia  e di accusa che conferma (se ancora ce ne fosse stato bisogno) non solo la friabilità di un sistema degradato, ma anche e soprattutto la retrograda inciviltà del nostro Stato e delle forze politiche che occupano le poltrone dei bottoni in Parlamento, troppo occupate a “difendere i potenti” (che anche quando vengono giudicati in via definitiva dei “disonesti lestofanti” non si fanno mai nemmeno un giorno di galera) per occuparsi invece delle marginalità sociali come questa, che purtroppo fanno poca “audience” e altrettanta poca propaganda elettorale.

Confrontarsi con la durezza delle immagini (che fissano e “fotografano” inesorabilmente una situazione inaccettabile) è davvero devastante, poiché ci costringe ad ammettere tutte le nostre inadempienze che determinano queste ingiustizie sociali (di cui siamo complici evidenti, visto che siamo noi ad eleggere i governi) nel mettere in evidenza che, purtroppo (e non è un’esagerazione), i lager (anche se ovviamente diversi da quelli che abbiamo conosciuto nel passato) esistono ancora e sono altrettanto esecrabili: una “terra di nessuno” dove ogni internato è abbandonato a se stesso (spesso  “smarrito” persino dentro i suoi escrementi).

 

Ma andiamo per gradi ed evidenziamo meglio come stanno le cose e come ancora (purtroppo) non si è voluto trovare una soluzione definitiva a un problema annoso, perché questi di cui si parla sono “figli di nessuno” che non hanno santi in Paradiso, e trovano di conseguenza solo una sparuta minoranza che prova a dare loro voce, per altro fra l’indifferenza generale (il che dovrebbe far provare un profondo senso di vergogna a tutti noi).

Infatti, nonostante che la legge Basaglia che decretò la chiusura dei manicomi risalga al 1978 (per altro mai “regolate” per le fasi successive perché nessuno si è mai preoccupato di renderle attuative, se non per qualche sporadica iniziativa portata avanti con i pochi mezzi a disposizione da qualche struttura locale più illuminata e sensibile delle altre), queste istituzioni sono rimaste praticamente (e sostanzialmente) totalmente estranee alla cultura psichiatrica riformata e alle nuove regole che riconoscono come elemento primario “l’eguaglianza dei diritti e il rispetto del valore umano della vita”, tanto è vero che le norme vigenti sono ancora (colpevolmente) quelle che  risalgono al Codice Penale emanato nel 1930 dal regime fascista (questo per ribadire una volta di più che in Italia sulla carta esisterebbero tante belle leggi, ma il problema però è che nessuno le rispetta e peggio ancora che non si fa nulla per “perseguire” penalmente gli inadempienti, come dovrebbe invece accadere in un paese moderno proiettato nel futuro).

Per entrare nel concreto, è bene  ricordare poi che in Italia esistono ancora ben sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari che al loro interno “detengono”  (sarebbe più appropriato dire “segregano”)  più o meno 1.500 persone private di ogni diritto primario.

Lo stato della follia” che finalmente apre una finestra su questa condizione, è stato reso possibile grazie alle ispezioni effettuate negli OPG senza alcun preavviso (altrimenti nessuno si sarebbe accorto di quello che era l’effettivo stato delle cose) nel 2010 (ben 3 anni fa!!!!! il che è un’ulteriore vergogna se si considera che poi, a parte il fatto di “legiferare”, come documenterò meglio qui di seguito, poco o nulla di effettivo per modificare la situazione è stato fatto). L’iniziativa delle ispezioni è stata presa dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’efficienza e l’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale (che  in questi 3 anni di “crisi” economica ha perso molti – decisamente troppi - ingranaggi dalle sue ruote portanti e rischia sempre più di deragliare definitivamente e meriterebbe un “nuovo “aggiornamento di conoscenza”), che si è assicurata la preziosa presenza del regista Francesco Cordio e delle sue telecamere, al quale ha assegnato l’incarico di  documentare con le immagini – che sono davvero molto forti e dolorose – questo importante blitz che ha portato alla ribalta “la vergogna”.

Immediato lo sdegno di tutti (si sa: siamo molto “viscerali” e sul momento le cose “ci prendono” e ci indignano, salvo però  dimenticarcene qualche giorno dopo per passare ad altro) e sull’onda lunga di ciò che venne detto dai giornali e dai media televisivi (che riguardava anche le condizioni del sovraffollamento degli Istituiti carcerari), nel gennaio del 2012 si arrivò finalmente a discutere in Senato il decreto ribattezzato “svuota carceri”. In tale occasione, la Commissione riuscì a inserirci dentro anche un emendamento che finalmente prevedeva il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (e di conseguenza la loro chiusura, almeno nella forma fino ad oggi conosciuta) entro il 31 marzo del 2013… ma come sempre in Italia è più facile dire e decretare (siamo tutti degli ottimi scrivani) che  poi passare davvero alla realizzazione pratica di ciò che si è stabilito e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Di conseguenza, anche se il decreto è diventato Legge il 14 febbraio del 2012,  l’unica cosa certa è che per adesso il termine ultimo per la chiusura è stato prorogato di un anno (e quindi rimandato al 2014)… ma visto che nessuno sa cosa fare e come, e che nel frattempo presi come siamo da altre beghe politiche e giudiziarie (solo più importanti perché riguardano appunto chi detiene il potere) questo è diventato un elemento talmente secondario anche nelle nostre coscienze (archiviato insomma, mi verrebbe da dire, se non ci fosse questo straordinario documento a ricordarci che no, non è proprio così che purtroppo stanno le cose), credo che non sia escluso – anzi io ci scommetto fino da ora che andrà proprio così – che prima del 2014 avremo una ulteriore procrastinazione in avanti, il che sarebbe davvero criminale.

Visto che io sono già abbastanza avanti con l’età, spero comunque che prima o poi si compia il miracolo e che riuscirò per lo meno a vedere eliminate le terribili sofferenze e le disumane condizioni di vita a cui sono sottoposti tutti gli internati in strutture che non hanno alcuna finalità terapeutica o riabilitativa, e dove forse (come testimoniano anche le immagini) l’unico piccolo spiraglio di luce viene dall’ OPG di Castiglion delle Stiviere, dove qualche modifica strutturale è stata fatta e con successo (per esempio, e tanto per dirne una, al suo interno non sono più presenti agenti di polizia). Quello che poi risulta di straordinaria rilevanza, è il fatto che per realizzare questo progetto non sono state necessarie particolari attrezzature: ci si è semplicemente limitati ad impostare l’istituto come un vero Ospedale Psichiatrico, mettendo cioè al primo posto la cura dei malati, per la quale appunto più che la polizia, è necessaria la presenza di competente  personale medico, coadiuvato da infermieri e psicologi, tutti prioritariamente impegnati (attraverso appropriate attività lavorative, laboratori creativi, e percorsi terapeutici ad hoc) al raggiungimento di un obiettivo condiviso definito come “riabilitazione psico-sociale del paziente”.

La pellicola intende dunque accompagnare, e far in qualche modo “vivere” anche lo spettatore, in questi squallidi luoghi (Castiglion delle Stiviere a parte) dove le persone, fin dagli inizi del ‘900, sono relegate e disumanizzate dal trattamento farmacologico, dall’abbrutimento delle celle di isolamento, delle camice di forza, dei letti di contenzione, e qualche volta – io credo – anche dall’utilizzo scellerato dell’elettroshock.

Il documentario porta alla luce il loro stato di abbandono anche strutturale, con la conseguente privazione dei più elementari diritti costituzionali alla salute, alla cura e alla vita di questi malati mentali lasciati prigionieri della loro apparente (e per lo stato “insanabile”) follia.

Il film è organizzato su due piani in apparenza distinti ma che si intersecano e si integrano perfettamente fra loro:  da una parte abbiamo l’evidenza assoluta fornita dalle immagini di un “cinema-verità” spietato e in  presa diretta di questi luoghi atroci e dimenticati, impegnate non solo a documentare, ma anche a dare voce ai pensieri,  alle azioni, e soprattutto alle emozioni di questi “reclusi”a vita (mi verrebbe da dire “sepolti vivi) che grazie alla capacità “introspettiva” del regista, hanno finalmente e per la prima volta, la possibilità di gridare (e denunciare) al mondo intero il loro precario stato e il disagio a cui sono sottoposti (non solo psichico, ma anche e soprattutto umano); dall’altra invece, entra in gioco e si intreccia l’intenso e generoso racconto in prima persona di Luigi Rigoni, adesso attore di professione ma anche (in passato) ex-internato nell’OPG di Aversa, che scandisce il ritmo della narrazione con le sue riflessioni personali o recitando poesie e passi letterari.

Le riprese “impietose” fungono così da perfetto mediatore tra la realtà sociale esterna e il vissuto privato degli internati, il che consente allo spettatore di acquisire una sconvolgente consapevolezza (anche di impotenza) grazie alla musica e al montaggio che contribuiscono ad attivare un flusso emotivo di eccezionale rilevanza  che può essere percepito in differente modo  in base alla diversa sensibilità di ognuno di noi.

 

Francesco Cordio è un giovane e dotato videomaker (e le sue doti risultano particolarmente evidenti proprio dalla visione di questa pellicola.

Si avverte infatti non solo la sua capacità espressiva, ma anche la profonda partecipazione emotiva che ha provato nel fare questa terribile esperienza di vita al contatto con i “dimenticati” della terra  (il regista ha i definito le riprese negli OPG come un esame endoscopico nei meandri mai esplorati del corpo della Repubblica Italiana, una specie dia Tac al sistema sanitario gravemente ammalato di una malattia da sempre ignorata e trascurata) e  lo si evince particolarmente da a queste sue parole: Il primo impatto con gli OPG è stato devastante: celle piccole e sporche, servizi igienici rotti, puzza di escrementi ovunque. Gli internati alla vista delle telecamere hanno cominciato a venirci incontro, alcuni raccontandoci la loro storia, altri chiedendo aiuto, altri ancora, imbottiti di farmaci, si limitavano ad osservarci con sguardo supplichevole dal fondo dei loro letti sudici. Ogni volta uscire era insieme un sollievo e una condanna: il pensiero impotente di lasciare quelle persone alla loro non vita mi tormentava. Ma cosa potevo farci io?”.

Una cruda, terribile e tragica esperienza dunque che documenta un sopruso non ancora sanato: quelle persone probabilmente sono ancora lì in attesa che davvero qualcuno si ricordi che anche loro sono essere umani che hanno diritto a uscire dall’inferno e che in me hanno suscitato una sconfinata indignazione: ci sarebbero infatti ben altre cose più gravi ed importanti (e questa è una di quelle) per minacciare una “guerra civile” o una rivoluzione (come si sta provando a fare in questi giorni) che non le beghe personali di chi ha (finalmente) subìto una sacrosanta condanna per una parte (minimale, rispetto al contesto generale) delle proprie malefatte:  purtroppo è invece così che va il mondo, ma io non mi rassegno……..

 

Oltre alla Menzione speciale ricevuta a marzo al Bif&st di Bari , il film ha ricevuto anche la Menzione Speciale al Premio Ilaria Alpi 2011 ed il Premio “L’anello debole 2011” (primo premio assoluto e premio speciale della giuria di qualità, sezione TV).

 

Un matto
è come un cieco
non ha bisogno di offese
ma di baci
o di essere ucciso
(Enrico Dignani, In memory of Franco Basaglia)

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