Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
'Noah' è la 'visione' dell'episodio, contenuto nell'Antico Testamento, del diluvio universale, con qualche inserto, videoclipparo, ricorrente del peccato originale, con annesso serpente digitale, che più digitale non si può, di Darren Aronofsky, costruita dosando un flebile equilibrio tra kolossal biblico, fantasy e deliri, visto il tema, di onnipotenza visiva.
L'epoca ed il territorio in cui accadono i fatti sono visti dall'autore come una landa desolata, sperduta ed inospitale, in cui il 'nostro' Noè (un dubbioso Russell Crowe) e la sua famiglia, la moglie Naameh (Jennifer Connelly), i tre figli, Sem (Douglas Booth), Cam (Logan Lerman) e Jafet (Leo McHugh Carroll), con in più la figlia adottiva Ila (Emma Watson), una 'licenza poetica' dell'autore, da lui inventata di sana pianta, ed il nonno Matusalemme (Anthony Hopkins piuttosto imbalsamato nel ruolo), che vive appartato ma fa l'occhiolino se lo si va a trovare, sono protetti dai 'Vigilanti', creature gigantesche che paiono dei Transformers bruciacchiati, mentre l'uomo sente il richiamo della divinità e, sulla scorta di esso, costruisce l'arca dove ogni specie avrà riparo durante i quaranta giorni e le quaranta notti.
Tra momenti di grande noia, animali di ogni tipo ricreati digitalmente e scontri edipico-familiari, le pagine bibliche passano quasi in secondo piano a scapito della pretestuosa scelta stilistica del filmmaker newyorkese, dotato di una certa pesantezza di tocco e il film, contrariamente all'arca, è sempre sull'orlo del naufragio artistico.
Notevole e sentita la sequenza della creazione, narrata con uno stile vicino al cinema contemplativo di Terrence Malick e toccante la melodica canzone sui titoli di coda, 'Mercy Is', scritta da Patti Smith e Lenny Kaye e dalla stessa cantata, con i Kronos Quartet, magnifica la fotografia di Matthew Libatique, ma l'opera nel complesso è lungi dall'essere riuscita.
Voto. 5,5.
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