Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
La domanda sorge spontanea (come un fiore da un seme, alla velocità della luce ...): perché?
Sì, Darren, perché? Sarà pure stato un desiderio coltivato in tempi remoti, sarà stato finanche per un forte spirito di sfida (può un "autore" dirigere un blockbuster senza venirne contaminato? Dilemma biblico), ma era proprio necessario (e intelligente) abbandonare il fertile sentiero (oltretutto, personalissimo nonché mirabile) per seguire le rette vie della super-produzione?
Non si sfugge dalla retorica: visto il risultato - Noah, il gargantuesco cargo della vita che affonda andando alla deriva (quasi) come un disaster movie qualunque - no.
Irrilevante soffermarsi sui dettagli, sui tanti relitti che galleggiano nel mare magnum del - pericolosamente contiguo al - ridicolo (gli "angeli caduti", creature che paiono rivenire direttamente dalle saghe fantasy di Peter Jackson) o del meramente illustrativo (à la National Geographic) o della sostanziale appartenenza al filone (la missione "divina" con tutte le implicazioni morali conseguenti), il dato importante è che il film di Aronofsky non dice poi molto né aggiunge pressoché niente all'immaginario dei kolossal epici-biblici.
Considerazione che vale anche per la componente relizzativa: a parte alcune (poche) sequenze felici (ad esempio la cronistoria per immagini della creazione), il resto è poca roba (situazioni introspettive e caratterizzazioni spesso troppo schematiche, scene di azione "professionali" e null'altro, virtuosismi registici sterili), che sia insomma capace di imprimersi a fuoco nella memoria. Che invece viene sommersa dalle acque infestate da effetti speciali decisamente di tendenza (massiccio ricorso alla CGI e 3D posticcio).
Una visione assai "prudente", quella del regista, che poco osa e un bel po' si conforma: questo è il punto.
È pur vero che da un certo punto della storia emerge un Noah interessante, ovverosia quando la personalità moralmente integra si scontra con il fardello di essere stato scelto per salvare gli innocenti nei giorni del giudizio: progressivamente il Nostro muta in un fondamentalista, un sanguinario, disposto a tutto - come un Jack Bauer ante litteram (un paragone come tanti, d'altronde la metafora è alquanto semplice) - persino a sacrificare i suoi discendenti appena nati, per (far) rispettare il grande disegno.
Questione interessante, sì, ma rimane lì, sospesa in loop tra scene e dialoghi che si ripetono, senza quindi un opportuno approfondimento. Poi, tutto ritorna nelle coordinate di quella che, in definitiva, è una dimensione da sermone domenicale e poco più.
In fondo, premesse («in principio era il Nulla») e conclusioni (il libero arbitrio, la scelta di amore piuttosto che di cieca fede) sono fradici del già visto (e subìto ...), con l'intero tipico armamentario filosofico-religioso carico di verità e rivelazioni che stende un velo (pseudo)intellettuale e impegnato sulla "bagnarola" mainstream: troppo facile, così.
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