"Tutti possono essere felici" ci fa sapere la locandina dell'ultima fatica di Davide Ferrario, che ha ancora una volta poggia le sue lievi e disincantate basi (e la sua ragion d'essere) sull'affascinante e maestoso capoluogo piemontese e, ancor piu' stavolta rispetto alle precedenti, presso le immediate verdi e placide periferie meno avvezze a far da sfondo a narrazioni cinematografiche. E' proprio li che Ugo ha ereditato, gia' da ragazzo, una casa patrizia in collina che risulta enorme per le sue necessita' e che egli quindi sub-affitta ad una bella ragazza a cui fa il filo senza successo da anni, Maria dagli occhioni grandi, e ad uno studente-lavoratore sognatore e poetico, il bel Dario. Nonostante la complicita' tra i tre, quacosa di irrisolto o di sospeso li accompagna come una spina costante che li lacera pian piano lasciando un dolore leggero ma ugualmente fitto e costante nel cuore e nella mente. E se il padrone di casa, buffo e stralunato, speranzoso e possibilista, e' oberato dai debiti e gira in bicicletta senza concludere granche' se non togliersi qualche curiosa soddisfazione, per Maria, impiegata presso una agenzia turistica, organizzare viaggi in luoghi che lei conosce superficialmente solo tramite cataloghi, indirizzati soprattutto a coppie di sposini e innamorati, le crea un disagio frustrante e un senso di impotenza che la spingono a cercare la fuga. Dario invece lavora al bioparco della Cumiana per pagarsi una facolta' che lo inaridisce dentro e dalla quale sfugge attraverso il potere delle parole e l'elaborazione dei propri concettuali pensieri accattivanti, dosando le parole con una abilità che sa catturare.
Fino al giorno in cui Ugo capisce che Torino, citta' solcata dal 45* parallelo, e' come il punto di svolta, la linea di separazione tra i due poli che compongono il nostro mondo, la demarcazione immaginaria, ma di fatto concreta in cui la gente, percorrendo quella linea retta immaginaria, sceglie in quale emisfero indirizzarsi, dando una svolta spesso definitiva alla propria esistenza. Una meta che, ogni volta che la si oltrepassa scavalcando idealmente il neon luminoso che ne annuncia il passaggio, lascia il pellegrino come su una fune in bilico tra due mondi, sospeso in modo precario a decidere dove e' piu' opportuno atterrare tra i due poli che si estendono alle due estremita' opposte.
Sotto una Torino abbagliante e un po' ruffiana di una luce lunare in grado di abbagliare, Ferrario ci conduce in un girotondo rischioso e azzardato di anime "fiammeggianti" che sanno cosa vorrebbero essere, ma non sanno come realizzarsi ne' dove andare per riuscire a concretizzare un progetto che vive nella mente come un bozzetto inespresso. Tre sognatori che si vogliono bene, trovano la pace grazie anche ad una convivenza che li fa sopravvivere, ma non li appaga ne' rassicura. La macchina da presa fotografa angoli e sfrutture che alternano la magia di monumenti storici sontuosi e possenti ben noti della prima capitale italiana, a strutture moderne sinuose e sofisticate che disegnano geometrie rassicuranti e pendii dolci che ricordano le colline circostanti. E sotto le luci artificiali di un parco zoologico che rappresenta sin troppo platealmente e metaforicamente una societa' che ha perso le proprie origini e vive di lontani confusi ricordi ed istinti (e dove i pinguini per stare calmi e non temere gli assalti delle volpi hanno bisogno di sentire incessantemente per tutta la notte Radio Radicale ed i suoi comizi ed inchieste fuori tempo massimo) si consuma una cena bizzarra ma sincera che segna un addio a molte, troppe cose. E finalmente per Ugo, afflitto dagli ufficiali giudiziari, ma raggiunta la soglia fino a poco tempo prima invalicabile di una parete obliqua che lo porta a raggiungere un tetto da cui si scorge chiaramente l'orizzonte del proprio futuro, Ferrario rischia molto e troppo, ma il suo film e la sua poetica talvolta forzata e sin troppo costruita raggiungono uno scopo preciso e riescono infine anche a catturarci. Tre protagonisti affiatati che sembrno credere molto agli alter ego che costruiscono con la loro presenza: tra costoro ci torna alla mente solo il bello e bravo Eugenio Franceschini dal gran timbro vocale (lo ricordo in "Una famiglia perfetta" e "Bianca come il latte, rossa come il sangue"), mentre Manuela Parodi ci appare come una felice scoperta, una sosia perfetta di Marisa Berenson e volto che vogliamo davvero rivedere.
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