Trama
Da quando aveva sedici anni, il quarantaquattrenne Ugo (Walter Leonardi) ha ereditato una casa sulle colline torinesi in seguito alla morte prematura dei genitori, ricchi borghesi di sinistra. È qui che Ugo si ritrova ad ospitare Maria (Manuela Parodi), una giovane commessa di un'agenzia di viaggi, e Dario (Eugenio Franceschini), ventenne universitario e precario. Tra poetiche e comiche divagazioni, tutti e tre sono alla ricerca di un loro posto nel mondo.
Approfondimento
LA LUNA SU TORINO: LEGGEREZZA SUL QUARANTACINQUESIMO PARALLELO
Scritto, prodotto e diretto da Davide Ferrario, La luna su Torino segna il ritorno al lungometraggio di finzione da parte del regista a quattro anni da Tutta colpa di Giuda. A raccontare la genesi del progetto, interpretato da attori quasi sconosciuti e con una colonna sonora firmata da Dente, è lo stesso regista in occasione della presentazione del film fuori concorso al Festival di Roma: «La luna su Torino nasce dalla voglia di leggerezza. Come essere umano e intellettuale, di fronte alla catastrofe culturale e civile che incombe, sento che una maniera di reagire è usare la levità, una delle poche armi con cui si può affrontare il disastro. Nel film non è che non si trattino temi importanti, a cominciare dalla classica domanda su qual è il nostro posto nel mondo. Ma vorrei che il tono con cui sono trattati fosse come la mongolfiera su cui sale Ugo a un certo punto: una cosa ancor più leggera e inconsistente dell’aria, ma proprio per questo capace di volare in alto. Ho molto riflettuto sull’Italo Calvino di Lezioni americane, che dedica alla leggerezza proprio la prima lezione, in particolare quando parla di una “leggerezza della pensosità”.
Calvino in Lezioni americane si occupa anche di Giacomo Leopardi. E non a caso Leopardi è uno dei “fari” del film, sotto forma di passione del protagonista. Devo dire che ho scoperto Leopardi facendo Piazza Garibaldi. L’avevo imbalsamato nelle letture liceali; e ho trovato, oltre al poeta, uno straordinario pensatore. Spietatamente ironico, ma anche romantico. Lucidissimo e insieme impotente a cambiare le cose. L’esatta condizione della post-modernità.
Nonostante io odi i film con il "messaggio", in La luna su Torino [qui la pagina Facebook del film] un motivo di fondo certamente c’è: la precarietà, intesa come spirito dei tempi. Ma una precarietà depurata da ogni connotazione sociologica. Il personaggio interpretato da Eugenio Franceschini non è precario perché studia e lavora part time. Lo è perché si fa delle domande sulla propria esistenza, come d’altra parte tutti gli altri che attraversano il film. Sono tutti, a loro modo, degli acrobati, in equilibrio su un filo: la precarietà, allora, diventa anche l’arte di saper camminare su quel filo senza cadere.
La luna su Torino persegue poi la mia passione per il quarantacinquesimo parallelo. Intanto, un fatto: io sul 45emo parallelo ci sono nato, esattamente a Casalmaggiore. E poi il destino mi ha portato a vivere a trecento metri dalla linea del parallelo, nella campagna torinese. Sembra che la mia vita sia segnata da questo arcano. Ma al di là dell’aspetto privato, il 45emo parallelo mi appassiona perché è una metafora dell’equilibrio. Qui siamo a metà dell’emisfero, e nessuno ci pensa mai. Un passo verso nord o verso sud e finiamo per pencolare di qui o di là, cosa che non accade per altri paralleli. Infine, geograficamente, trovo estremamente suggestivo percorrere quella linea immaginaria e vedere dove ci porta. Scoprendo magari di essere più “simili” ai mongoli del Gobi che a molti italiani.
Seguendo poi la regola che mi ero imposto per Dopo mezzanotte, con cui La luna su Torino ha evidenti parentele, volevo delle facce nuove, capaci di portare una sensazione di freschezza allo spettatore. Io credo che in Italia abbiamo molti bravissimi attori: ma che, data una certa mancanza di originalità delle produzioni, vengono impiegati in ruoli più o meno simili. Finisci per guardare l’attore, non il personaggio, anticipandone movenze e idiosincrasie. Qui volevo invece che tutto fosse inaspettato, anche correndo dei rischi.
Note
Opera lieve, posata su un fatto geografico e su un tris di esistenze aperte a infinite possibilità, ne scatta una fotografia seducente ma indolente: invischiati nell’abbraccio con la poesia, gli equilibristi pendono dal lato della forma e perdono aderenza con lo sguardo dalla Terra. Vediamo un film dall’orizzonte (fisico, simbolico) inclinato, un altro racconto della vita segreta sospesa tra luogo vissuto e altrove fantasticato: più pretestuoso di "Dopo mezzanotte", meno dirompente di "Tutta colpa di Giuda", ma ancora immaginoso e inconsueto.
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