Regia di Dean Francis vedi scheda film
Ormai dagli australiani e' lecito aspettarsi ottime sorprese in tema di cinefilia, e di horror ancor piu', memori della feluce e sadica sorpresa di quel Wolf Creek che assali' alla gola e allo stomaco tutta la Quinzaine durante il Festival di Cannes anni addietro.
Road train appare gia' sin troppo smaccatamente dalla suggestiva locandina come una tardiva riproposizione del cult spielberghiano Duel, o del sempre troppo dimenticato cult La macchina nera, ottimo horror che incantava ed atterriva le mie estati adolescenti ogni anno senza saltare una messa in onda, spesso in tarda serata su Italia Uno o Rete 4 tra i "Bellussimi".
E se l'irraggiungibile cult di Spielberg incantava e teneva incollati allo schermo con una tensione costruita sul non detto e sul non visto, sul dubbio costante di chi potesse guidare quell'infernale camion della morte, sulle vere ragioni di un accanimento sadico di un misterioso individuo su una preda vulnerabile e sprovveduta, La macchina nera invece si addentrava, seppur solo superficialmente, ma con astuzia, intrigante fascino, sulle possibili identita' del diabolico conducente, arrivando a farci notare particolari inquietanti come il fatto che la nera autovettura non presentasse porte o maniglie di apertura per permettervi l'accesso.
Il Road train che qui ci rincorre e' un enorme camion con piu' rimorchi che trasporta merce attraversando le immense zone rocciose e desertiche australiane: lungo come un treno merci ma su ruote. Se lo trovano appresso durante un viaggio due coppie giovani, in viaggio assieme su una jeep: una delle due appare felice ed innamorata, l'altra al contrario rabbuiata e tesa, con in serbo rancori mal sopiti di cui capiremo presto la natura e le origini.
L'euforia provata in occasione dell'incontro col gigante della strada, quasi un simbolo folcloristico ed autoctono ustraliano al pari dei canguri, si trasforma in terrore ed incubo quando il bolide inizia a tallonare la jeep dei nostri ragazzi, per poi speronarli e farli uscire fuori strada con un pauroso testacoda che distrugge la jeep e ferisce ad un braccio uno di loro. Sconvolti e sotto shock, i quattro si accorgono che il camion si e' fermato poco distante e sembra osservarli, pensieroso e maligno. In pieno deserto e senza mezzi di comunicazione ne' sostentamento, i giovani si avvicinano al mezzo e, notato che e' vuoto, porte aperte e chiavi innestate, con una certa riluttanza se ne impossessano, mentre il conducente da lontano li scorge e tenta di allontanarli sparando.
Sara' l'inizio della fine: Road train dicevo, a differenza di Duel, ci apre spudoratamente le porte addentro ai propri intestini, manco a dirlo succubi di combustibile umano che alimenta i propri cilindri infernali, edunque concentrato famelico ed insaziabile di cattiveria e malignita'. Si sonda in tal modo e con crescendo di inquietudine da parte dello spettatore, la radice della malignita' piu' pura e fine a se stessa, quella che proviene dagli inferi. Siamo dalle parti del mondo sporco e perverso di Stephen King, di Christine la macchina infernale ma pure di Brivido, dove l'automezzo vive e si vendica, inghiotte e prosegue il suo viaggio di morte senza mai arrestarsi.
Il buon film dell'esordiente e fino ad ora sconosciuto Dean Francis si dipana agevolmente su un quadrivio di storie che coinvolgono i quattro malcapitati, facendoli abilmente convergere verso uno stesso macabro destino: di sangue naturalmente.
Tra gli attori, molto e fin troppo belli, ma efficaci, riconosciamo almeno Xavier Samuel, gia' piuttosto noto grazie a Stephan Elliott ed altro, e la splendida "viso da gioconda" Sophie Lowe, gia' avvezza alle atmosfere torbide e sanguinolente. Un horror veloce e ben strutturato che percorre rischiando luoghi comuni ormai apparentemente impraticabili uscendone in modo dignitosissimo e travolgente
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