Regia di George Clooney vedi scheda film
Ne abbiamo avuti anche in Italia sconosciuti eroi che pensavano che l’arte valesse più della vita di un uomo, ma nessun Clooney li ha ancora scoperti per farci un kolossal vecchia maniera.
Pare che al versatile attore e regista titillassero da tempo le papille gustative film come I cannoni di Navarone, La grande fuga, Il ponte sul fiume Kwai.
Parole sue, e lode alla giornalista che non è scoppiata in fragorosa risata durante l'intervista.
Quale che sia la verità, per questo The Monuments Men ci vorrebbe la lingua di Fantozzi a renderne lo spessore.
Ma andiamo con ordine e facciamo un tantino di sinossi, benchè la storia sia arcinota (checchè ne dica Clooney)
Tratto dal libro Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia di Robert M. Edsel, racconta la storia vera di un gruppo di curatori di musei, architetti, artisti e storici dell'arte, richiamati nell'esercito per recuperare opere d'arte trafugate dai nazisti e nascoste in attesa di riempire le sale del costruendo Hitler Museum nella città natale del grande dittatore.
Poiché le cose, si sa, andarono diversamente, a guerra conclusa, o alle sue ultime battute, gli Alleati si posero il problema del recupero, rendendosi ben conto che la mission, pressochè impossible, non poteva essere affidata ad un oscuro appuntato dell’Ohio né ad un brutale cosacco del Don.
Servivano competenze, conoscenze e, soprattutto, passione.
Rischiare la vita per salvare la Madonna di Bruges di Michelangelo è cosa che dovrebbe sembrare normale, e infatti così fu, e un viaggio a Bruges oggi andrebbe fatto solo per lei.
Sindrome di Stendhal assicurata.
Un tema affascinante, dunque, un parlare della guerra da un’angolazione insolita e corroborante, il lieto fine piacevole e la verità storica a sostegno di singolari forme di eroismo.
Solide garanzie per la realizzazione di un buon film.
Ma ci vorrebbe un regista, servirebbe un’idea di cinema, e, soprattutto, dovrebbero correre altri tempi.
Poiché tutto questo non c’è, e i tempi più che correre ruzzolano verso il nulla, la storia dei sette uomini che ci hanno riconsegnato la Madonna di Michelangelo e il polittico di Gand, e centinaia, e migliaia di tesori nascosti in miniere di sale dell’alta Baviera, in Austria o altrove, diventa il plot di un mediocre prodotto hollywoodiano delle cui mancanze impossibile non accorgersi.
Due particolari divertenti, nel disastro generale e nella piattezza uniforme del prodotto, sono i seguenti:
uno è l' inossidabile fedeltà, al di là di tempi, mode e rivoluzioni culturali, dell’America alle sue paranoie di base: la guerra fredda non è mai finita, il russo è sempre il russo e allora una beffa ci vuole (chi vedrà il film capirà).
L'altro è il solido fondamento dell’identità yankee che il sano cineasta di Hollywood non ci risparmia quasi mai, ed è la famiglia. Bisognava allora infilarci qualcosa del genere e la parte è affidata a Matt Damon, eroico resistente al fascino “parigino” della Blanchett (e pure un po’ cafone nella battuta da soldato che farà sull’argomento dopo qualche scena).
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