Regia di Warren Beatty vedi scheda film
Un film splendido per certe cose, noioso per altre. Oltre tre ore sono troppe per una materia comunque da kolossal, come la rivoluzione russa filtrata attraverso la storia vera di un giornalista che ha messo a repentaglio tutto di se stesso, per la causa della giustizia e dell’uguaglianza universali.
Memorabile è la fotografia di Storaro. Apprezzabile è anche tutta la seconda parte: quella dell’attivismo, dove Reed paga in prima persona per la propria coerenza, e denuncia la contraddizioni del dogmatismo, della dittatura bolscevica, nonché della ferocia del suo terrore. Manca però l’analisi positiva della rivoluzione in sé: la sua necessità per le profonde cause della secolare ingiustizia feudale, giustificata teologicamente, almeno stando al contesto europeo di cui qui si fa riferimento. Sia chiaro: il film parteggia per il socialismo, non è soprattutto una critica ad esso; però delle note in più, almeno quelle significative, sugli orrori di ciò che i comunisti combattevano (comprese quelle sui loro ingiustificabili eccessi, che il film mostra), sarebbero stati opportune. Anche per questo, non è il film epico che sperava di essere.
Indubbiamente andava tagliato almeno il 50% delle prima parte, col suo melodramma sentimentale francamente noioso. Utile per attirare ulteriormente, in un certo senso, il pubblico femminile, ma nel complesso infelice: troppo materiale finisce per essere pletorico.
Fra l’atto, Beatty recita in modo abbastanza convenzionale. Brava la Keaton in una parte profonda e difficile. Sin troppo sacrificato un comunque eccezionale Nicholson.
Un film comunque coraggioso per l’epoca: fu concepito in America a fine anni ’70, quando il militarismo capitalista statunitense stava ridando fiato alle trombe, riprendendosi una supremazia anche culturale (se così si può dire, poiché ha ben poco di culturale), che ha tenuto saldamente almeno fino alla crisi del 2008. Basti pensare che uscì nell’81, quando aveva appena vinto le elezioni quel Ronald Reagan che è stato il peggior esemplare della disonestà intellettuale americana: al servizio dell’avidità di pochi ricchissimi e contro l’interesse di quasi tutti, con il suo delirante e falsificante anticomunismo dogmatico, in cui ha saputo coronare e persino superare il maccartismo.
Perciò quest’opera di Beattie, per quanto troppo elevata nelle ambizioni e superiore alle proprie capacità, mantiene un suo valore.
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