Regia di Aharon Keshales, Navot Papushado vedi scheda film
Chi ha visto Rabies certamente ricorda l'umorismo nero che permeava quella pellicola. In questo caso è la cifra stilistica che caratterizza Big Bad Wolves. Il tema è quello classico, la vendetta nei confronti di un presunto pedofilo, già affrontata in Prisoners, senza però l'angoscia di Prisoners, perchè attua un meccanismo più distaccato dove l'umorismo sfocia nell'assurdità del grottesco, che sa da un lato stempera le scene più violente (e ce ne sono, senza peraltro il minimo compiacimento), dall'altro ne aumentano a dismisura il disagio perchè l'estrema cura dei dialoghi porta alla risata liberatoria. Viene messo in scena un meccanismo aberrante che una volta individuato il possibile pedofilo risucchia dentro dal poliziotto, al padre ed il nonno della bambina uccisa che aderiscono a determinate regole quasi senza battere ciglio, specchio di una società, quella israeliana, che è percorsa fin nel suo profondo dalla violenza e dalla paura.
Sintomatico da questo punto di vista le brevi sequenze (apparentemente leggere e comiche) degli incontri con l'arabo, visto sempre come un potenziale pericolo.
A questo punto dopo una buona pellicola come il precedente Rabies, questo Big Bad Wolves è un salto di qualità che pone questi due registi come degli autori da tenere d'occhio. Non era certo facile mettere in scena un film del genere, ma l'eccellente equilibrio dell'insieme lo pone su un piano di assoluto livello qualitativo.
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