Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Il successo negli Stati Uniti del film "The Lady Vanishes" persuase Alfred Hitchcock ad attraversare l'oceano Atlantico per rimanere in pianta stabile a Los Angeles. Il maestro, onorato il contratto che lo legava alla Mayflower Pictures Corp. di Charles Laughton ed Erich Pommer, con l'ultimo film inglese della carriera, "La taverna della Giamaica", lasciò l'Inghilterra nell'estate del 1939 per raggiungere il celeberrimo produttore e talent scout David O. Selznick che lo aveva scritturato per girare cinque film. Il primo di questi fu "Rebecca" con il quale Selznick conquistò l'Oscar di miglior film e Hitchcock ruppe il ghiaccio dopo le tormentate vicende che videro "naufragare" il progetto di una sua trasposizione cinematografica del disastro del Titanic, progetto che, si dice, fosse stato apertamente osteggiato dagli armatori britannici, preoccupati per le ricadute economiche e di reputazione causate da un film potenzialmente di forte impatto sul pubblico.
Affondato il Titanic hitchcockiano ancor prima del suo varo Selznick estrasse dal cassetto il romanzo "Rebecca, la prima moglie" di Daphne du Maurier che si rivelò ideale per il graduale passaggio del regista alla mentalità di Hollywood. Hitchcock, infatti, faticò ad adattarsi allo "stile di vita losangeliano per cui lavorare su "Rebecca" fu un modo efficace per evitare una rottura drastica con le tematiche del suo cinema e le sue "abitudini europee".
Du Maurier non solo era di nazionalità inglese ma dal suo precedente "Taverna alla Giamaica" Alfred Hitchcock trasse il film con il quale aveva chiuso con l'industria di casa. Le pagine della scrittrice erano, dunque, note al maestro del brivido così come l'ambiente aristocratico in cui si svolgevano le vicende narrate dal romanzo. Alfred Hitchcock dovette trovarsi a proprio agio con un libro che metteva in luce le differenze tra aristocrazia britannica e borghesia americana e disquisiva sulla rigida divisione in classe sociali nell'Impero di Giorgio VI. "Rebecca" fu un grande successo ai botteghini e nel corso del tempo venne imitato e, in diverse occasioni, rifatto.
Benché il film avesse un impianto estremamente serioso e l'umorismo del maestro fosse stato sacrificato sull'altare della drammaticità Hitchcock impresse il suo marchio di fabbrica fin dalla prima sequenza nella quale percorreva il viale, soffocato dalla vegetazione, che conduceva all'antico castello di Manderley. La voce femminile fuori campo metteva la parola fine alla narrazione già dai i titoli di testa. Svelando, infatti, fin dall'inizio le sorti della magione il maestro privava il pubblico dell'elemento sorpresa. Ma nella realtà l'incipit era un bluff perché ad Hitchcock premeva concentrare l'attenzione sui fatti che avevano dato origine alla distruzione delle anime anziché a quella degli edifici. Manderley era un simbolo, un pretesto. Come se riavvolgesse il nastro del raccolto Hitchcock tornava al principio del racconto quando una giovane e ingenua segretaria (Joan Fontaine), al servizio di una ricca americana, incontrava nel sud della Francia un facoltoso nobiluomo inglese (Laurence Olivier) da poco vedovo. Dopo una brevissima liaison i due convolavano a nozze e si trasferivano nel castello di lui in Cornovaglia. Ma in quel luogo aleggiava il fantasma misterioso di Rebecca, prima moglie nel novello sposo Maxim de Winter, uno spettro che tramutava il fresco matrimonio in un incubo in cui la giovane Mrs de Winter scopriva, a proprie spese, la fragilità del proprio ruolo, la granitica superiorità di un ambiente che la respingeva, il formalismo delle classi inferiori e la tenebrosa essenza del proprio uomo che sembrava nascondere un passato d'inquietudini. Era stato lo spettro della defunta a condurre per mano l'intimorita ragazza lungo i declivi impervi della verità alla scoperta di una baia nascosta, di un cottage dimenticato e dell'odio covato nell'animo del marito, un animo ottonebrato da un'oscura verità che lentamente veniva svelata dal maestro. Rebecca, ectoplasma protagonista della storia, che si reincarnava nella ossequiosa lealtà della domestica, Mrs Danvers (Judith Anderson), così come nella laida amicizia del cugino (George Sanders), dirigeva un quartetto d'archi in cui de Winter era l'inconsapevole primo violino. Rebecca non era la donna che appariva ma nemmeno gli altri dimostravano di essere ciò che lasciavano trasparire. In de Winter si nascondeva un uomo roso dalla paura, dall'ira e dal rimorso. Jack Favell svelava un animo opportunista e ricattatore ma, benché sconfitto, una capacità di giudizio superiore a quella altrui. Mrs Danvers tradiva un'equivoca passione per la defunta padrona di casa. Infine la giovane sposa metteva nel piatto l'inattesa capacità di adattarsi al mutato contesto diventando addirittura complice di un crimine. Mrs de Winter cresceva fortificata nella scoperta di una verità che la rendeva sempre più affine ad un marito che si rivelava innamorato di lei quanto odiato e sbeffeggiato, fino all'atto ultimo della tragedia, dalla prima moglie.
Con "Rebecca" Hitchcock seppe passare dalla dolcezza della luna di miele alla sporcizia nascosta sotto il tappeto della classe nobile inglese. Con un gioco certosino di rivelazioni seppe svelare al pubblico un suicidio orchestrato con lungimirante efficacia ma anche il bieco opportunismo di una donna che traeva motivo di serenità di fronte ad un inconfessabile omicidio. Spostando la fine all'inizio, creando disorientamento e accompagnando, passo passo, lo spettatore, verso le radici del male Hitchcock forgiò un giallo che non si limitava a smascherare la colpa ed il colpevole ma metteva a nudo le ombre dell'animo umano la cui caduta negli abissi veniva avvolta nelle fiamme crepitanti di una biblica resa dei conti. (V.o.s.)
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