Regia di Alain Guiraudie vedi scheda film
C’è il posto dell’amore. Dove tutto sembra possibile, forte dell’anonimato e dell’universalità, immerso nell’assoluto che non conosce regole né limiti. Una spiaggia lacustre, coperta di sassi bianchi e di luce accecante, è il pianeta lontano dove gli uomini si spogliano al sole, per amare altri uomini. E se spesso cercano l’ombra del bosco, non è per nascondersi, ma per accrescere il senso dell’intimità, amplificando l’eco di una passione fatta di una meccanica e selvaggia tenerezza. Tutto ciò che è proibito è perfettamente naturale, privato dai vincoli dell’identità e della divisione dei ruoli, degli accordi che si sottoscrivono con nome e cognome e si suggellano con un numero di cellulare. Quel che procura gioia, infatti, è provvisorio, fugace come l’atto di uccidere e morire, eterno solo perché indicibilmente intenso. Il film di Alain Guiraudie svela un mondo che è nudo perché primitivamente sincero, estraneo alle convenzioni della civiltà, e affettuosamente docile alla materna autorità dell’istinto. Abitarlo significa spogliarsi delle esigenze delle ragione, che vuole sapere, ad ogni costo, e pretende insistentemente di capire. In quel luogo in cui ogni cosa è carne morbida e vorace, quel mostro indagatore si aggira con le sembianze di uno spettro scheletrito, con lo sguardo attonito e incredulo, ingigantito, sul viso scarno, da un paio di vecchi occhiali passati di moda. L’ispettore cerca e chiede, gli amanti rispondono secondo la voce dell’incoscienza, che prende la vita come viene, con semplicità, senza scientifiche complicazioni. I loro corpi si intrecciano sul terreno, mentre le loro anime continuano a volare, ognuna per proprio conto, e da lassù non distinguono il pazzo e l’assassino, l’arrogante e il povero diavolo. Questa cecità è la sospensione della verità costruita a posteriori, tratta per deduzione logica dalle storie passate; ciò che resta è la serena accettazione di una realtà che è l’impronta di una fantasia precipitata al suolo, un angelo caduto che non si arrende e non smette di battere le ali. Questo film ci regala il ritratto schiacciato di un silenzio che nasce dalla spontanea complicità fra simili: è indifferente e uniforme come la discrezione, incolore e privo di prospettiva come uno scarabocchio allusivo, che nobilita la crudezza della sostanza con l’essenzialità della forma. La sua trasparenza ci dimostra quanto sia facile, in fondo, dimenticare le fittizie barriere dell’ipocrisia per abbandonarsi alla bellezza che attrae con una primordiale e misteriosa forza creatrice: un miracolo che si può toccare, ma solo per un attimo, per poi passare oltre, e lasciarsi nuovamente sorprendere dalla sua magia. Lo sconosciuto del lago è una presenza limpida che sorge dall’acqua, splendidamente inquietante come una leggenda, però banalmente uguale ad ogni altro essere plasmato dal fango.
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