Regia di Alain Guiraudie vedi scheda film
Più delle parole, può il corpo. Il corpo è testo. Prima del nostro cuore, prima del nostro essere, delle nostre idee, della nostra voce, dei nostri interessi, delle nostre paure, prima delle nostre passioni e della nostra posizione verso il mondo, prima di tutto arriva il corpo. Il corpo come irrimediabile fulcro delle relazioni umane. Testo, contesto ed extra-testo di ciò che siamo nel nostro primo impatto con la realtà sensibile.
Strumento espressivo del corpo, come della voce è la lingua, è la nudità. In seconda battuta, la sessualità – individuale, binomia o di gruppo, etero, omo oppure bisessuale o transgender – è l’apoteosi del linguaggio corporeo, il climax di un racconto corporale e fisico che narriamo ogni giorno, a seconda delle nostre esperienze e della nostra cultura.
Senza forzature, il bellissimo film di Guiraudie si fonda su questi principi basilari della filosofia nudista – o “naturista” come molti edulcuratori ci tengono a sottolineare, anche se c’è effettivamente una sottile differenza di pensiero. Il regista impronta l’intera struttura narrativa sull’esposizione del corpo e dell’atto sessuale, innervando l’epos di elementi narrativi, immagini e topoi solitamente marginalizzati dal cinema ufficiale. Molte sono le caratteristiche che compongono questo piccolo capolavoro.
Innanzitutto l’ambientazione. Un parcheggio sterrato, l’intrico di un bosco mediterraneo, la riva brulla e sassosa di un lago e le sue acque scure. Un tipico locus amoenus che parte come gradevole luogo di piacevolezze e rilassamenti per poi superare la soglia della tana del bianconiglio e diventare dapprima un perfetto locus eroticus fatto di trasgressioni e cedevolezze carnali e in seguito un locus horridus dove thanatos prende il sopravvento su eros e lo sodomizza letteralmente confermando l’attrazione squisitamente sessuale per il pericolo, la paura, la morte.
Non solo quindi l’azzeccata alternanza degli stessi ambienti, ma anche la loro funzione narrativa, i richiami letterari, i paradigmi culturali e anche la stretta fratellanza con la messa in scena teatrale. Si sa per esempio come la natura, soprattutto quella selvaggia, sia uno dei principali caratteri di tutte le narrative, primo referente del mondo emozionale umano proiettato al di fuori di noi oltre che coprotagonista titanico delle più grandi avventure letterarie e cinematografiche, finanche pittoriche, dell’uomo di ogni epoca. Così anche in Lo Sconosciuto del Lago la natura gioca le carte della sua ambiguità passando da amoenus a eroticus a horridus mantenendo la sua regale compostezza e il suo disarmante distacco. L’impassibilità delle piante e degli arbusti, come delle pietre e delle acque del lago, ci ricorda da un lato la tragedia dell’uomo moderno allontanatosi dal mondo agreste e dall’altro la piccolezza e l’inutilità del dramma umano. Per contrasto, questa natura placida e distensiva accoglie il risveglio dell’istinto animale, sessuale come ferale, rappresentando così la copula come espressione animalesca del noi primitivo, ingentilimento dell’atto cannibalico e omicida.
L’ambiente lacustre richiama inoltre prima di altri luoghi naturali il periodo classico. Il Narciso del Michelangelo (1594) come quello di molti altri pittori, oppure le scene di beltà agreste come in The Little Shepherdess (1892) di Paul Peel o Arcadia (1883) di Thomas Eakins, testimoniano la tensione bucolica insita nell’animo umano nella continua ricerca di un luogo di piacere e felicità lontano dalla civitas e dai suoi peccati. Anche se il cambio di segno si sente, pure nel film di Guiraudie avvertiamo questa ricerca di purezza e di pace orchestrata dai silenzi, dal vento, dall’erba che fruscia e dallo sciabordare placido dell’acqua, parallelizzando così l’opera cinematografica moderna con le più antiche rappresentazioni del locus amoenus.
Importante poi è la messa in scena teatrale rafforzata da elementi puramente cinematografici. L’orizzontalità della riva sassosa è un perfetto palcoscenico sgombro da interferenze di ogni sorta. L’uomo nudo su palco nudo è la sintesi dell’attore, anche se estremizzata, quasi deformata espressionisticamente – o animalizzata per dirla alla Valle-Inclán. Attore che è sua volta riproposizione, tra l’allegorico e il simbolico, dell’uomo in ogni sua declinazione. Se poi pensiamo all’impianto tragico di tutto il plot, con una determinante indubbia come la presenza di eros e thanatos, il richiamo teatrale risulta palese e riconoscibile instaurando così con il pubblico un gioco modulato sul patto narrativo tra narratore e narratario. Questo permette di rivedere i personaggi protagonisti come degli archetipi del racconto popolare classico, poi evoluzioni moderne ed epigoni del contemporaneo.
Se possiamo rileggere il protagonista principale interpretato da un bravissimo e sconcertante Pierre Deladonchamps come un novello cappuccetto rosso, un nuovo Pinocchio, un Huckleberry Finn finalmente nudo e selvaggio in riva al fiume, e rileggere il personaggio di Christophe Paou come il lupo cattivo che attende nel bosco la sua giovane preda oppure come una versione queer del Lovelace richardsoniano – e per estensione avvicinarlo a tutti gli orchi e adescatori dell’immaginario folkloristico – possiamo sicuramente rileggere in loro, nonostante l’anagrafe, gli eterni archetipi di puer aeternus e senex in continua e perpetua ricerca l’uno dell’altro.
Il puer aeternus alla ricerca di avventura, qui quella sessuale senza dimenticare il coinvolgimento sentimentale che lo distingue e allontana dal suo opposto ma complementare senex, è forse il personaggio archetipico più narrativizzato della storia culturale dell’uomo. Molte, moltissime sono le storie che coinvolgono giovani adolescenti, se non addirittura bambini, in avventure di formazione in cui vengono a contatto con gli elementi della natura e con il mondo degli adulti, quasi sempre avvicinandosi o unendosi a un loro rappresentante. Basterebbe appellarsi a Propp per ritrovare nella modulazione favolistica l’eternarsi del giovane alla scoperta di sé e del mondo, includendo altre funzioni attoriali tipiche della fiaba, come il personaggio, lui sì davvero tragico, interpretato da Patrick D’Assumçao, senex all’ennesima potenza che riveste i panni dell’aiutante o del mago, del deus ex machina o anche del coro greco, per restare in tema di tragedia.
Un puer aeternus, il suo doppio oscuro che fa da senex sui generis, un puro senex da coro greco e infine un fool spassosissimo prestato dal teatro scespiriano – l’abbordatore che si intromette sempre nelle copule altrui – sono archetipi che qui rivivono di nuove letture restando saldamente legati all’impianto classico e universale del racconto fiabesco rendendo così la pellicola non databile, ma eternata grazie all’impostazione teatrale coadiuvata dal linguaggio filmico che con inquadrature fisse ben oltre il tempo di lettura canonico, raggiungendo una durata relativa sovrabbondante, e con un alto numero di campi totali, dettagli naturalistici e rari dialoghi in campo/controcampo aiuta a percepire la storia e i suoi elementi narrativi come una classica parabola esemplare resa nella perfezione teatrale.
Elemento imprescindibile e costituente del film è la sessualità tra maschi. Per Lo Sconosciuto del Lago vale lo stesso di Brokeback Mountain (2005). Il film di Ang Lee è una storia d’amore, certo tra soli maschi, ma è sempre una storia d’amore adatta anche ad un pubblico eterosessuale. Lo stesso per il film di Guiraudie, film hitchcockiano nell’impianto teorico che nonostante la tematizzazione principale resta un noir a predominante erotica come potrebbero essere Attrazione Fatale (1987), Basic Instinct (1992), Bound (1996) – che già inseguiva una deriva lesbica – Sliver (1993) e molti altri.
Nonostante la normalizzazione che il regista fa dell’omosessualità, seppur dialogando con i suoi lati più nascosti e perversi – ma l’eterosessualità non è da meno con le sue spiagge porno e i luoghi per scambisti e così via – non siamo comunque difronte a un film comune. L’aspetto sessuale e il dettaglio dell’aspetto sessuale con tanto di eiaculazione e fellatio in primo piano non edulcorano certo una storia torbida come quella di un delitto e di un’ossessione erotica che ricerca la morte. Ma in Lo Sconosciuto del Lago la nudità, la copula, la fugace erezione del protagonista e i vari dettagli più scabrosi – la cui inquadratura dura forse meno di un secondo – non limitano il racconto al solo mondo omosessuale, ma scomodano la pornografia e la magnifica ossessione per il proibito, tensione repressa del mondo etero, e contribuiscono alla normalizzazione e placida accettazione di un paese dei balocchi selvatico adatto a qualunque pubblico, a qualunque curioso, come dimostra il personaggio di Patrick D’Assumçao.
Il film inoltre si permette, attraverso il personaggio dell’ispettore di polizia che indaga sulla morte del giovane annegato, di lanciare una provocazione che non va a colpire moralisticamente il mondo gay, ma il mondo tutto. La vita continua, certo, ma che razza di vita è se per giorni non ci accorgiamo che il ragazzo vicino a noi è morto? Perché il nostro istinto sessuale ci distoglie da tutto il resto, compresa la vita degli altri? Che amore è quello che esclude il mondo e include solo l’egomaniaca soddisfazione del sé? Ma dopotutto il corpo coinvolge anche e necessariamente l’amore? Io dico di no, ma la riflessione del regista che s’intromette nella vicenda attraverso l’occhio indagatore del poliziotto è più che legittima e permette di comprendere e accettare la sessualità e la libertà del nostro corpo, indipendentemente dalle inclinazioni di genere, anche in relazione alla vita di chi ci sta intorno, nel reciproco rispetto civile.
Il corpo, in tutta la sua immanente verità, torna così ad essere protagonista assoluto di un exemplum né moralista né etico, ma semplicemente realista, in linea diretta con il neorealismo e le avanguardie documentaristiche di oggi, esaltando l’impatto materico della realtà e usando archetipi dell’immaginario per dotarli della problematicità romanzesca del moderno. La perfezione del corpo nudo di Pierre Deladonchamps, la sua esposizione continua e naturale, la spontaneità della recitazione, l’immersione totale nel trasporto erotico e di pari in quello terrorifico fanno del suo personaggio un’icona moderna, né omosessuale né eterosessuale, bensì panica dell’immaginario erotico.
Il risultato finale, come giustamente si è detto diverso volte, è hitchcockiano. La grammatica utilizzata dal regista per restituirci una classica storia di amore e morte condita con ossessioni maniacali non nasconde il debito verso la teoria voyeuristica che ammanta da sempre il mondo del cinema.
Non solo passando da Hitchcock, ma partendo anche da Peeping Tom (1960) di Michael Powell fino ad arrivare a De Palma, Argento e Larry Clark, l’ossessione scopica s’è fatta sempre più morbosa. In tempi recenti, con l’arrivo dei vari supporti tecnologici con cui vedere, rivedere, produrre e riprodurre immagini senza soluzioni di continuità, e dell’inclinazione per tutto ciò che è filmabile e spiabile, come i reality, la celebrity, i fatti di cronaca violenta o i disastri naturali, si è accentuato il desiderio inconscio di partecipare emotivamente, anche se limitatamente al solo pettegolezzo, o al solo orgasmo onanista, alla vita degli altri, chiunque essi siano. Ecco che con il suo film, Guiraudie ci permette di spiare anche oltre l’indicibile annullando il senso di colpa e la sensazione di sporco che gli argomenti sessualmente scabrosi hanno il potere di metterci addosso. Riuscendo così nell’operazione tutt’altro che facile di normalizzare l’istintualità sessuale, celebrandola con poesia, ironia e un eterno sguardo classico.
Film perfetto, amalgama riuscito di suspance, erotismo, pornografia, commedia e taglio sociale, Lo Sconosciuto del Lago trionfa dalla prima all’ultima inquadratura. Anche il finale, difatti, è qualcosa di criptico e magico, surreale e al tempo stesso così reale da non farci dubitare su nulla di quello che abbiamo appena visto. Quella lunga sequenza di morte e di fuga nell’intrico boschivo, mentre il sole sparisce e lascia il posto alla notte silenziosa, con il protagonista vestito solo di un paio di jeans corti, ha il sapore dei giochi infantili, quando la fantasia ci faceva più paura della realtà. E ci lascia così, con un taglio netto, davanti alla testarda e continua ricerca ossessiva del proprio oggetto del desiderio, anche se trovarlo significherebbe morire. Ci separa così, di colpo, da quel milieu arcadico fatto di corpi, sangue e sperma, senza per questo allontanarci dalla vicenda, dai suoi personaggi e dal suo ambiente, bensì ingabbiandoci in essa. Siamo ancora tutti là, in riva a quel lago. Nudi.
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