Regia di Nicholas Ray vedi scheda film
Figurativamente il film di Nicholas Ray è un santino, tanto è vero che il protagonista Jeffrey Hunter fu scelto tra molti candidati proprio per la somiglianza fisica con l'immagine di Gesù tramandata dalla tradizione iconografica cristiana. Sul piano del contenuto, però, quella di Ray è una delle letture più politiche (almeno prima di Pasolini) date delle vicende narrate nei Vangeli. In questo senso, Il re dei re anticipa L'ultima tentazione di Cristo (1988) di Scorsese, per questo suo fare di Barabba una sorta di alter ego politicizzato di Gesù, tutto teso all'organizzazione di una rivolta antiromana, laddove il Cristo predica una rivoluzione di tutt'altro genere e propugna la pace anziché la violenza. In questo contesto, Giuda assume la funzione di trait d'union tra i due personaggi (antagonisti, anche se sullo schermo non s'incontrano mai), ed è colui che ne paga le più dure conseguenze, in quanto fallisce su tutta la linea: Gesù muore sulla croce, ma adempie la volontà del Padre; Barabba viene sconfitto nella sua ribellione, ma alla fine salva la pellaccia; Giuda perde la fiducia di Barabba, tradisce il Maestro, è disprezzato dagli anziani del sinedrio, danna il proprio nome e la propria anima per l'eternità e si toglie la vita.
Nonostante le idee indubbiamente democratiche e progressiste del regista, Il re dei re non porta quest'impronta di Ray, perché sfugge al suo controllo sia per l'impostazione generale (discutibili alcune scelte di casting, come un Robert Ryan permanentato nella parte di Giovanni il Battista e un'attrice che pare una fotomodella per impersonare la Maddalena), che per il montaggio finale, dal quale Ray stesso fu completamente estromesso. Ecco perché si è avuto buon gioco nell'affermare che il film è «opera bella, di alta moralità, forse poetica ma, presa così, incapace di essere interessante» (Guido Bertagna).
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