Regia di Yasujirô Ozu vedi scheda film
L’autunno della famiglia Kohayagawa (titolo originale “Kohayagawa-ke no aki”), girato nel 1961, è il penultimo film di Ozu ed è anche l’ultimo girato dalla grande attrice Setsuko Hara (il cui vero nome era Masae Aida) che per i suoi dell’successivi 54 anni di vita si ritirò dalle scene ed anche dalla vita pubblica salvo rarissime eccezioni. Da notare che il film è stato prodotto dalla compagnia Toho anziché dalla solita Shochiku, produttrice della quasi totalità delle opere di Ozu (con la sola altra eccezione di Erbe fluttuanti).
Le vicende raccontate sono quelle di un anziano padre, incallito libertino, proprietario di una distilleria di sakè in difficoltà, e dei suoi rapporti con le figlie e il figlio, e con gli altri componenti della famiglia allargata e quelli controversi con l’ex amante, dalla quale ha forse avuto una figlia. Non mancano, anche se qui non sono predominanti, le manovre per combinare matrimoni: sono messi in evidenza il contrasto fra giovani inclini alla modernizzazione in senso occidentale ed anziani fedeli alle tradizioni giapponesi, specchio delle trasformazioni sociali in atto all’epoca.
Il film è coerente con la poetica del regista, intrisa della filosofia zen, ovvero con la ricerca dell’equilibrio, dell’armonia, fra gli uomini (come esseri sociali) e la natura di cui fanno parte inscindibile. In questo, come negli altri film di Ozu, sembra che non accada nulla di particolarmente rilevante, tuttavia, alla fine, nei personaggi è cambiato qualcosa in profondità e termina con una nota di serena malinconia (“aware”), qui bene espressa da Setsuko Hara nell’ultimo colloquio con la sorella minore.
Ozu, in sostanza, narra lo sviluppo degli avvenimenti e del conseguente evolversi e modificarsi dei sentimenti e degli stati d’animo dei protagonisti fino allo scioglimento delle tensioni ed alla confluenza nell’incessante flusso della vita, di cui anche la morte fa parte. Per far ciò, il regista segue le sue personalissime scelte di regia per cui nulla di ciò che appare è superfluo, ma tutto è teso al raggiungimento del risultato con il minimo impiego di mezzi, rinunciando alla spettacolarità: ne risulta una visione scorrevole, ma sotto la superficie semplice e levigata c’è sostanza e profondità di pensiero.
Il film presenta le tipiche caratteristiche tecniche (quasi una ritualità) del regista quali le riprese con la mdp posizionata in basso, primi piani frontali nei dialoghi, inquadrature fisse che alludono all’atmosfera delle scene seguenti, frequenti ricorsi ad ellissi temporali e spaziali con stacchi netti di montaggio, ecc. In particolare, in questo film colpisce l’uso del colore: sia in interni che in esterni, c’è una predominanza dei toni azzurri e verdi contrappuntati dal colore del legno e, per contrasto, la presenza di piccoli oggetti o di fiori di colore rosso acceso e una quasi totale assenza del giallo.
La riuscita dei film di Ozu risiede anche nell’eccellente recitazione dei suoi interpreti, che con una recitazione efficacemente espressiva, ma mai sopra le righe, delineano con naturalezza e credibilità la natura dei diversi personaggi: oltre alla grande Setsuko Hara (Akiko, la figlia maggiore), vanno ricordati almeno Ganjiro Nakamura (il padre libertino), Yoko Tsukasa (Noriko, la figlia minore), Daisuke Kato (lo zio che propone il matrimonio ad Akiko), Chieko Namiwa (Sasaki, la vecchia fiamma del padre), Haruko Sugimura (la sorella acquisita del padre, che durante la commemorazione passa repentinamente da toni ironici ad un pianto dirotto). Chishu Ryu, che ha recitato in quasi tutti i film di Ozu, qui ha una parte marginale molto breve in riva a un fiume, ma, con la compagna, ha uno scambio di battute che sintetizzano il senso profondo del film: “Perché una nuova vita prenderà il posto di chi non c’è più” – “La natura fa sempre il suo corso”.
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