Regia di Kelly Reichardt vedi scheda film
Non so. Con questa risposta se la può cavare il recensore incerto. Ma quelle due parole sono anche un ottimo modo di riassumere lo spirito di un film la cui storia sembra costantemente schiacciata dal dubbio. C’è il timore di non dire cose pertinenti, che induce i personaggi al sussurro a mezza bocca, ad una allusività modellata sul balbettio. È c’è il terrore di dover imboccare la strada senza ritorno del giudizio morale, che lascia il tono in sospeso, confinato in una neutralità narrativa definita da emozioni rarefatte. Il tema dell’ecoterrorismo occupa una posizione del tutto marginale nel panorama delle tematiche attuali, e forse proprio per questa ragione si presta particolarmente bene a quello che, sul piano puramente estetico, si direbbe un esperimento di riconversione in chiave crepuscolare di due icone Hollywood eroica e giovanilistica, quali Jesse Eisenberg e Dakota Fanning. Si può osservare che il loro lancio nel cinema d’impegno avviene qui con tutte le dovute cautele, con un contegno drammatico stentato e sofferto, a cui qualche scrupolo di troppo ha voluto imporre la sordina d’ordinanza. La vicenda dei tre protagonisti – una ragazza e due uomini – che compiono un attentato dimostrativo contro una diga – presenta infatti un’attenzione al realismo che, in uno slancio di amore per l’indistinto etico e psicologico, finisce per lasciarsi sedurre dal vaporoso abbraccio di una medietà soffusa, a tratti farfugliata, lieve e fragile come un soffio di vento. In nome della prudenza nei confronti di un argomento tanto spinoso quanto inesplorato, possiamo forse accontentarci di questo carattere arieggiato dall’indeterminatezza, ma non necessariamente saremo in grado di coglierne l’auspicato fascino discreto. Questo film – è evidente – fa di tutto per allontanare da sé il sospetto di essere un action movie oppure un’opera di stampo ideologico, un documento d’inchiesta, un manifesto di denuncia. È del tutto privo di quella volontà penetrante tipica di chi, nelle vesti di personaggio o di autore, insegue un obiettivo, difende un’idea, testimonia un fatto. Anche ciò che è palesemente condannabile rimane qui sostanzialmente irrisolto, perché non catalogabile nel quadro complessivo: per un verso è slegato dalla problematica sociale di fondo, e per altro verso appare sprofondato nelle tenebre di una dimensione umana che è ostaggio della paura, e in quanto tale non capisce più nulla e si dimentica da dove è partita. La situazione, alla fine, precipita come qualsiasi altra, cancellando i potenziali dilemmi con il colpo di spugna dell’accecamento di sensi e ragione. Noi, però, avremmo preferito continuare a pensare, anche immersi nel torpore di una lentezza cosparsa di falsi punti esclamativi, di incisi soppressi sul nascere, di indizi che puntano verso un luogo invisibile. Un cerbiatto continua a vivere nella pancia della madre morta. Un escursionista rimpiange i ruggenti anni ottanta. A colazione la farina d’avena è meglio delle uova fritte. Piccole bolle colorate che scoppiano, qua e là, senza fare rumore.
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