Regia di Stephen Chow, Chi-kin Kwok vedi scheda film
A cinque anni dal mezzo fallimento (in termini d'incassi) di CJ7 – Creatura extraterrestre, Chow ritorna nei cinema con un progetto diretto con il quasi sconosciuto Derek Kwok, per adattare, molto liberamente, uno dei Quattro romanzi classici della letteratura cinese, Il viaggio in Occidente.
A conti fatti, si rivela esserne piuttosto un prequel, che racconta delle “disavventure” del monaco Tang Sanzang antecedenti il compiersi del suo leggendario viaggio in compagnia dei “tre demoni”, che, come ricorda il titolo, in questo film vengono vinti, “conquistati”.
E l’interessante incipit (che ha il suo culmine nella comparsa del demone acquatico, dalle fattezze inquietanti ma stranamente anche esilaranti) prometteva un simpatico, giusto un tantino stravagante fantasy con curiose venature horror e comiche (un nuovo genere? Demenzial-horror, dalle parti di La casa II, ma coi tratti peculiari dell’umorismo a la Chow?), un puro divertissement gustabile da chiunque nella giusta predisposizione mentale (ovvero pronto anche a qualche rapida regressione infantile).
Peccato che, col proseguire della visione, Journey to the West: Conquering the Demons si faccia sempre meno interessante e divertente, diventi sfilacciato, ripetitivo, alla lunga noioso, e soprattutto non si dimostri per nulla in grado di costruire gag efficaci (e difatti sono sin troppe quelle che non colpiscono nel segno).
I personaggi e le loro vicende non appassionano (vedi il caso eclatante della forzatissima e afflosciatissima storia dell’amore non corrisposto tra Miss Duan e il monaco, alla cui insulsaggine non riesce a porre rimedio neppure la simpatia dell’interprete, Shu Qi), perché tanto sceneggiatura quanto regia (per non parlare poi degli effetti digitali) arrancano, e nel complesso il film manca sorprendentemente della consueta ironia (ed anche autoironia) tipica dei film di Chow, e pare prendersi perfino sul serio nel finale, quando si tratta di trarre la morale buddhista dalle vicende narrate
(anche se è forse eccessivo parlare di “propaganda” religiosa, perché non se n’è di certo mai vista una talmente delirante ed eccentrica, quantomeno nel XXI secolo, nonché una, al contempo, talmente inefficace [probabilmente anche agli occhi dello spettatore cinese, che comunque non avrà di certo bisogno di un film per entrare in contatto con taluni aspetti della filosofia e della morale buddhista, e che saprà ovviamente cogliere più a fondo di uno spettatore occidentale tutti i riferimenti alla propria cultura, e di conseguenza, forse, anche certe battute che paiono cadere nel vuoto]).
Inefficace, dunque, se lo scopo era diffondere un qualche sorta di messaggio, ma soprattutto spesso involontariamente ridicolo. In particolare, nell’ultimo terzo del film, quello che si potrebbe definire della “resa dei conti”, dove si sprofonda arditamente in un apoteosi del trash che forse nella sua sfacciataggine possiede addirittura una qualche genialità (per nulla divertente, però), tra esagerazioni fin incredibili, autoreferenziali scopiazzature (vedasi alla voce “palmo del Buddha”, qui trasposto, a proposito di esagerazioni, su scala “planetaria”) e veramente ridicole “citazioni” (pare quasi di intravedere King Kong ad un tratto, ma si tratterà di un abbaglio).
Il tutto reso ancora più inservibile da una pessima CGI, di cui è satura quasi ogni scena, che, a differenza di altri film del regista, non è quasi mai utilizzata in maniera particolarmente creativa, e contribuisce solamente al ridicolo complessivo.
Incomprensibilmente apprezzato, Journey to the West: Conquering the Demons rappresenta invece un punto basso nella carriera di Chow, che ciò malgrado ottiene uno straordinario successo di pubblico (incassa oltre 1,2 miliardi di yuan, equivalenti a circa 215 milioni di dollari). E si guadagna pure un seguito, uscito nel 2017: Journey to the West: The Demons Strike Back, diretto da Tsui Hark.
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