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Father and Son

Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film

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La recensione su Father and Son

di OGM
5 stelle

Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 2013. Un grande successo di critica e di pubblico. Un film vincente su tutto, tranne che sulla tentazione di cadere negli stereotipi e di fare colpo con la delicata arma della commozione.

Si può sbagliare. Si può essere convinti di guardare un film drammatico, mentre davanti agli occhi sfilano le immagini di una storia sentimentale. Si può dunque rimanere fastidiosamente delusi, se l’onda del romanticismo finisce per irrompere, prepotente, sulla scena, travolgendo impietosamente ogni illusione di pensiero intimista, di considerazione morale, di emozione che non sia, semplicemente, il pianto sommesso per un amore perduto o messo in discussione.  Che sovrasti la tiepida pena per un dilemma che sfiora superficialmente il cuore, e tocca la coscienza solamente a parole.  Credere in questo film è faticoso. È uno sforzo di buona fede che non paga. È un omaggio mentale ad una bellezza che vorrebbe esistere, vorrebbe conquistarci, e invece è solo la proiezione di un canone estetico messo al servizio di una seduzione a buon mercato. Un padre che si scopre insicuro. Un figlio che forse smette di essere tale. Un legame di sangue che si rivela falso, e che induce un genitore a  prendere decisioni assurde. Il classico caso di due neonati scambiati nella culla – ed appartenenti a due famiglie di diversa estrazione sociale – viene affrontato con criteri innaturali, che spaziano dal contenzioso giuridico al patto tra gentiluomini, passando attraverso la menzogna (come se non ce fosse già stata abbastanza, nell’inganno operato dal destino), ovvero attraverso il sotterfugio travestito da gioco. La rivendicazione genetica indossa i commoventi panni dello strazio dell’anima. Non si sa cosa fare e, nelle retrovie, si ordiscono trame a fin di bene, ai danni di due piccoli innocenti. Si soffre e si litiga, tra adulti, per un orgoglio ferito, e intanto si studiano strategie per mascherare l’errore e superare l’imbarazzo. Una battaglia pretestuosa disputata tra i singhiozzi e le carte legali, in cui il vero problema pare sia la necessità di ripristinare, al più presto, una normalità in cui tutti i tasselli siano tornati al loro posto, e l’incidente possa essere dichiarato chiuso. Uno scandalo borghese che si colloca fuori dal tempo presente, e che, nella messa in scena di Hirokazu Koreeda, si dibatte tra singulti di nouvelle vague in salsa familiare, con accenti che ricordano i languori pseudo-dialettici da talk show. Il tutto per condire, senza alcun sapore di originalità, l’assunto, ormai eletto a motto popolare, secondo cui il tuo papà non è chi ti genera, ma chi ti cresce. Due ore di affannoso e futile ménage  sono troppe per giungere a questa scontata conclusione, per altro sbrigativamente affidata alla marchiana evidenza che i due bambini, ovviamente, non hanno alcuna intenzione di prestarsi agli escamotage dei grandi. La tesi, per quanto indiscutibile, perde di dignità se non esce, vittoriosa, dal confronto con l’antitesi, dopo averla coraggiosamente combattuta. Qui, però, in ballo non ci sono le idee. A fronteggiarsi sono soltanto ombre improvvisate di impulsi nervosi, che cercano alternativamente la gratificazione della gioia e l’espiazione nella tristezza. È troppa, forse, la paura di andare in profondità, di azzardare verità scomode, o magari, anche solo sincere.

 

Masaharu Fukuyama, Machiko Ono

Father and Son (2013): Masaharu Fukuyama, Machiko Ono

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