Regia di François Ozon vedi scheda film
"Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita" Così Paul Nizan, a proposito dei suoi vent'anni. Forse la sua famosa affermazione è, oggi, adatta anche ai giovani diciassettenni, cresciuti in fretta nella nostra società.
In quattro capitoli (le quattro stagioni dell’anno, a partire dall’estate) e in compagnia di quattro canzoni di Françoise Hardy, Ozon ci racconta un anno cruciale della vita di Isabelle (bella ed eccellente Marine Vatch), diciassettenne liceale, fragilissima, come quasi tutte le ragazze a quell’età, quando, alle trasformazioni del corpo corrisponde anche un cambiamento profondo della percezione di sé e perciò la ricerca della propria identità diventa molto importante.
Isabelle era una ragazza dell’alta borghesia; abitava con la madre (separata), con il fratello Victor un po’ più giovane di lei e con il compagno della madre.
Durante l’estate, in vacanza, Isabelle aveva deciso che fosse arrivato il momento della sua prima esperienza sessuale con un giovane corteggiatore tedesco.
La delusione e la profonda frustrazione per quella prima volta non avevano spento la sua curiosità, di conoscere quel piacere negato e neppure la voglia di capire se quel suo corpo fosse apprezzato dagli uomini, se la sua bellezza avesse qualche valore, se le fosse possibile vivere da adulta, nonostante la dipendenza familiare sempre più pesante, chissà per quanto tempo ancora.
Grazie al Web si era costruita una rete di conoscenze solo sue, popolata di uomini in cerca di ragazzine, con i quali, presentandosi col nome di Lea e chiedendo un corrispettivo in denaro mediamente alto, si prostituiva, custodendo il denaro in un luogo segreto del proprio armadio.
A differenza di alcune sue compagne, che si vendevano per arricchire con un pezzo prestigioso il proprio guardaroba, Isabelle non consumava i suoi guadagni, che costituivano per lei la conferma della raggiunta condizione di adulta in grado di vivere di risorse proprie, di fronte a una società e a una madre che tendevano a prolungare la sua infanzia oltre ogni limite sopportabile.
Il film sembra delineare le motivazioni profonde di quella scelta insidiosa, probabilmente da cercare – oltre che nel disagio di tutti i giovani occidentali, costretti a rimandare all’infinito qualsiasi progetto di vita autonoma – anche nell’atteggiamento tra l’amichevole e il paternalistico dei genitori, che rinunciando a indirizzare le scelte dei figli, e a seguirli con attenzione non invasiva in un’età così delicata, li lasciano soli con le loro curiosità e con i loro impulsi naturali, a confrontarsi con i modelli discutibili della pubblicità martellante e ossessiva.
Forse Isabelle avrebbe superato il momento più difficile della sua vita con l’aiuto dello psicologo o, più probabilmente, con il decisivo colloquio con l’unica vera figura materna del film (grandissima Charlotte Rampling), che era riuscita a parlarle con vera comprensione, da donna a donna, ricordando il marito, quell’anziano cliente che, involontariamente, l’aveva messa nei guai.
La famiglia, come spesso nelle pellicole di questo regista, ne esce a pezzi.
François Ozon, da eccellente affabulatore, ci racconta anche questa volta una piccola storia con la finezza e la grazia di chi, guardando lo scorrere della vita, sa coglierne gli aspetti più seri e drammatici con leggerezza e con affettuosa simpatia verso i suoi giovani personaggi, che non giudica, limitandosi a osservarli, poiché
On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans.,
[—–]
Nuit de juin! Dix-sept ans! – On se laisse griser.
La sève est du champagne et vous monte à la tête…
On divague; on se sent aux lèvres un baiser
Qui palpite là, comme une petite bête…
(da Arthur Rimbaud, Roman)
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