Regia di François Ozon vedi scheda film
È sicuramente giovane la protagonista dell’ultimo film di François Ozon, ed è vergognosamente bella Isabella, di una bellezza quasi imbarazzante per violenza, eleganza, naturalezza, e un Breton qualunque avrebbe detto che la bellezza sarà convulsiva, perché erotico-velata, esplosivo-fissa, magico-circostanziale, o non sarà – ma noi (e anche Ozon) siamo qualche gradino sotto rispetto a Breton. Ha, però, i connotati di un film surreale, Giovane e bella, che arriva nella filmografia del regista francese dopo l’inquietante e sublime esercizio di stile Nella casa, e non solo: è un racconto di formazione nell’accezione più banale del termine, ma anche una visione ironica sulla gioventù del primo duemila, e per di più non scevro di una dimensione onirica dichiaratamente esplicitata in almeno due o tre scene eppure, alla fine, soltanto suggerita, accennata, insinuata.
Il film manca talvolta di equilibrio, è fortunatamente antididascalico ma non sa trasmettere fino in fondo il vuoto pneumatico in cui si libbra Isabelle, il cui corpo meravigliosamente perfetto ed acerbo (Marine Vacht è oltremodo stupenda, dichiaro il mio amore per lei senza se e senza ma) si fa portatore di un’oscena brama di vita, lascia esplodere il germe del vizio più scandaloso, urta i muscoli flaccidi e gli occhi avidi di uomini assetati e a volte patetici. Dov’è che non convince Ozon? Nel racconto dell’angoscia repressa, nel disegno di un personaggio non di rado amorale e certamente cinico più per inesperienza alla vita che per cattiveria (non deve mantenersi col lavoro, potrebbe avere qualunque ragazzo coetaneo e non, ma ha la sbagliata consapevolezza di valere un prezzo), nella reazione ipocrita se non confusa di una madre che non si fida della figlia ma al contempo la invidia per la più ovvia delle ragioni (Isabelle è giovane, bella, può tutto; sua madre, un’ottima Géraldine Pailhas, pur bellissima, sente il tempo che scorre, mentre Isabella sembra vivere fuori dalla realtà), nel discutibile ritrattino del fratello.
È comunque un film interessante per come riesce ad esporre un’anti-educazione sentimentale senza retorica né volgarità (nonostante un tema quantomeno pericoloso), inserendosi in una tradizione nazionale che ha dato i suoi buoni frutti a riguardo: come Truffaut componeva film come se fossero canzoni di Charles Trenet o Edith Piaf, Ozon ha Françoise Hardy come persistente colonna sonora di una giovinezza problematica, che riesce a trasmettere l’idea di un mondo introverso, tormentato, indicibile. Forse il vero senso della storia sta in due scene: la declamazione della poesia di Rimbaud (“A diciassett’anni non si può esser seri…”) e la memorabile, ectoplasmatica apparizione finale di Charlotte Rampling.
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