Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Trama.
Siamo in un piccolo centro rurale in Pennsylvania: è un giorno freddo e grigio e si celebra la festa del Ringraziamento.
Due famiglie vicine di casa - i Dover e i Birch - si sono riunite per il pranzo. Sono legate fra loro da una amicizia cordiale; a unirle, oltre alla vicinanza delle abitazioni (le case sono in una zona periferica del paese) c'è l'amicizia dei loro quattro figli, due per ogni coppia: i due più grandi sono adolescenti; le due piccole, Anna e Joy, sono abituali compagne di giochi. Ad un certo puntole piccole escono di casa per cercare un fischietto smarrito. Quando gli adulti si accorgono che le due bimbe sono scomparse, scatta una concitata quanto inutile ricerca dentro e fuori casa.
La ricerca sfocia in un’indagine quando viene coinvolta la polizia locale, che affida il caso al detective Loki (Jake Gyllenhaal).
Il primo indagato è il giovane Alex Jones (Paul Dano) proprietario di un camper che era parcheggiato davanti alle loro case quando le bambine sono uscite in strada: ma il giovanotto è un ebete quasi afasico che sembra non comprendere le domande del poliziotto e fatica a rispondere; e non può essere trattenuto, anche se ha tentato la fuga alla vista dei poliziotti che lo volevano interrogare.
Keller Dover (Hugh Jackman), il padre disperato di Anna, la bambina bianca, è sicuro che il ragazzone ritardato, troppo reticente, sappia qualcosa e comincia a indagare per conto suo, convinto che la polizia non faccia il suo dovere a fondo e non capisca la gravità della situazione e la necessità di agire tempestivamente.
I due uomini, il padre ossessionato e acciecato dalla rabbia e il poliziotto nevrotico e solitario ma tenace e scrupoloso, si incrociano e si scontrano (un conflitto fra il giustiziere e il giusto) in questa indagine condotta dal primo con metodi truculenti (in corsa contro il tempo per scongiurare l’irreparabile) e dal secondo con minuziosa perseveranza (visto che il caso intricato gli si aggroviglia sempre più fra le mani nel corso della inchiesta, fra false piste, colpi di scena, indizi fuorvianti, inversioni e rovesciamenti).
Le indagini del detective si indirizzano presto in un’altra direzione: alla veglia per le bambine rapite è presente un soggetto che desta sospetti. Si rivelerà un mitomane collezionista di serpenti e di abiti infantili, traumatizzato per essere sfuggito da bambino agli stessi rapitori di Anna e Joy.
Le investigazioni oblique ci portano a scoprire luoghi inquietanti, squallidi e claustrofobici (case abbandonate, cantine degli orrori, boschi nebbiosi), a incontrare persone equivoche (preti tormentati, disabili mentali e disagiati psichici, fanatici religiosi alla deriva), a scoprire realtà destabilizzanti e macchinazioni diaboliche. E ci conducono nei territori dell’ambiguità, dove sarebbe etico chiedersi che differenza c’è fra la bestialità calda di un padre disperato e quella fredda di una vecchia stremata dalle atrocità di una vita intera.
Il tema angosciante, le ossessioni cupe, le atmosfere uggiose e plumbee (notturni e interni claustrofobici), la fotografia dark (di Roger Deakins, collaboratore storico dei fratelli Coen), ci rimandano allo splendido Mistic River di Clint Eastwood (i curatori del montaggio sono gli stessi).
Potenti sono le suggestioni che muovono riflessioni e scardinano certezze sulle dinamiche fra le vittime e il resto del mondo; sulle violenze latenti; sugli orrori quotidiani; sulla natura e origine del male; sulla società benpensante e indifferente (col suo vano apparato politico e giuridico); sulla comunità che non sa fare altro che esprimere formale e impotente solidarietà alle vittime; e sulla religione inutile, che non offre né conforto né risposte ma è piuttosto una ansiogena fonte di squilibri.
Il film è lunghissimo, forse troppo: asciugarlo un po’ non avrebbe nuociuto. Comunque regge bene, dall’inizio alla fine, anche grazie ai funambolismi della trama di cui si è detto.
Peccato per il lieto fine, a mio parere posticcio. E peccato anche per alcune spiegazioni finali che tolgono allo spettatore il gusto di comprendere la trama senza i didascalismi "ad usum delphini" probabilmente imposti dalla produzione.
La chiave di lettura.
C’è un elemento che ci fornisce l'indizio fondamentale per la decifrazione di questa storia aggrovigliata: il titolo del film, fortunatamente non tradotto e tradito dai distributori italiani, che è Prisoners, al plurale, e sta a indicare la condizione carceraria di tutti i personaggi, non solo delle due bambine rapite.
Prigioniero infatti, e torturato, è il povero idiota, primo sospettato del rapimento, sequestrato dal padre di Anna ma schiavo anche della sua impossibilità a rivelare quanto sa del rapimento.
Prigionieri sono in diversa misura i quattro genitori delle bambine scomparse, tre paralizzati da''impotenza e annientati dalla disperazione, uno - il padre di Anna - ossessionato dalla urgenza di trovare la figlia ancora viva e di liberarla dalla inimmaginabile condizione di orrore.
Prigioniero è l’investigatore, totalmente immerso nell’urgenza di risolvere il caso, pressato dalla drammatica condizione delle vittime, dalla disperazione dei genitori e dalla sua tragica missione.
Prigionieri in misura più o meno dolorosa, più o meno tragica, sono i comprimari: il collezionista di serpenti, traumatizzato nell’infanzia, che disegna ossessivamente labirinti; il prete schiavo non della pedofilia, ma dell’alcol e soprattutto del rimorso per aver eliminato e occultato il cadavere di un killer di bambini; la zia del demente (che scopriremo essere anche la vedova della vittima del prete e la madre di un ragazzo morto per tumore), una donna gelida, lucidamente folle, schiava di ossessioni religiose, invasata da paranoie diaboliche.
A confermare la chiave di lettura fornita dal titolo abbiamo i labirinti: rappresentati sul medaglione al collo del cadavere occultato dal prete; disegnati sui muri della casa del collezionista di abiti infantili e di serpenti; abbozzati dallo stesso su foglietti volanti che dovrebbero essere indizi per trovare il colpevole. E citati dall’intrico di corridoi della casa abbandonata; dagli scantinati nascosti, dalle stanze cieche; metaforizzati nella direzione disorientata delle indagini che imboccano false piste (forse troppe!), deviano in continuazione da un sospettato all’altro, annaspano senza sbocchi (proprio come nei labirinti).
In una delle casse del collezionista di serpenti, il detective Loki trova un vecchio libro sui labirinti che contiene una frase inquietante “tornerete a casa quando li avrete risolti tutti”.
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