Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
* * * ¾
Tornando a casa propria, dalla moglie, Franklin Birch ( Terrence Howard : la coscienza a-critica del film ) rimugina :
E il primo disse : “ Ah sì? Non vuoi comprare il nostro giornale?! ”.
E gli altri : “ Lo teniamo fermo, tanto per parlare ”.
Ed io pensavo : “ Ora gli dico : ''Sono anch'io fascista'' ”,
ma ad ogni pugno che arrivava dritto sulla testa
la mia paura non bastava a farmi dire : “ Basta ”.
[ Roberto Vecchioni - Stranamore (pure questo è amore) - Calabuig, stranamore e altri incidenti – 1978 ]
( Preda - PdV della nuca del cacciatore )
( Preda - PdV del cane da punta / richiamo vivo )
§§§ Premessa : LA GIUSTA PENA, ovvero :
un WorkingClass (not hero) Piccolo Piccolo ( “ Lei mi aveva detto ''ergastolo'' ” ).
“ Io ho fatto la mia scelta. E so cosa ho sentito. Lui non è più una persona, ormai. ”
Un genitore (padre).
“ Credo di aver consumato il nastro. Lo guardo ogni giorno dopo colazione, è l'unico filmato che ho di Barry. ”
Un genitore (madre).
“ Hai detto ch'era una piantina [ una mappa ], questo sembra un puzzle [ un labirinto, un rebus, un problema, un enigma : "Incendies" ed "Enemy" ]. Che cosa stai disegnando ? ”
Un poliziotto (detective).
I. PADRE NOSTRO, TUTTO TORNA.
La bambina parla allo specchietto retrovisore laterale destro, un fuoricampo interno al quadro : la metafora iconizzata del film.
Malickianamente, un picchio tamburella s'un tronco.
“Prisoners” ( la ''s'' pluralizzante è da subito e di per sé emblematica : un punto fermo da cui partire viene posto sin già dal titolo ) è il film che trae le somme, che fa il punto della situazione sui film di ''questo tipo''
[ opere migliori - che sono riuscite a dire quasi le stesse cose ma meglio - e sue pari : Jonathan Demme ( Thomas Harris - "the Silence of the Lambs" - * * * * * : e in “Prisoners” Villeneuve innesta un ( seppur parziale, sventato, disinnescato ) falso controcampo demmiano da antologia ), Sean Penn ( F. Durrenmatt - "the Pledge" - * * * * ¾ : il topos della promessa, l'abbandonarsi reciproco dell'eroe e della vittima ad un eccepibile, incredibile impegno ), Clint Eastwood ( Dennis Lehane - "Mystic River" - * * * * ¾ : il personaggio di Maria Bello, oltre ad avere molto in comune con quello interpretato in “A History of Violence” di David Cronenberg, qui rispecchia molto - pur divergendone profondamente - la Laura Linney bostoniana, quando dice al marito, al 3° giorno di scomparsa-rapimento delle bambine : “Tu mi facevi sentire così al sicuro, ci avevi detto che ci avresti sempre protetti da tutto” : una Lady Macbeth in minore sotto benzodiazepine ), David Fincher ( "Zodiac" - * * * * ) e ''persino'' Peter Jackson ( Alice Sebold - "Lovely Bones" - * * * ¾ ). E aggiungiamoci pure un più irrisolto “War of the World” spielberghiano, e all'esatt'opposto : “il Segreto dei Suoi Occhi” di Juan José Campanella. E per altri versi ancora : “the Child in Time” di Ian McEwan ] :
ma in ambito e in campo artistico non è, mai, la somma che fa il totale, e questo deve ben saperlo l'autore che ha portato e messo in scena l'1+1=1 di “Incendies” ( ed "Enemy"...).
( Considera l'incubo reale )
( Desidera il sogno realizzabile )
La profonda ambiguità religiosa, espletata dalla proverbiale frase, passata di bocca in bocca, “prega per il meglio, preparati per il peggio”, si stempera deflagrando nella confessione [ Melissa Leo ( "Homicide" di Paul Attanasio da David Simon ), al limine, se la gode ] : “Rapire bambini e farli sparire è la lotta che abbiamo ingaggiato contro dio, così le persone perdono la fede, si trasformano in demoni, come lei”.
Con quel finale Villeneuve dà scacco matto allo spettatore, che in quell'arrocco ci si era infilato da solo.
Alla fine tutto torna, tranne alcuni fotogrammi sempre più corrotti di un nastro smagnetizzato di un home movie analogico visto e rivisto ogni giorno dalla madre di ''un'' bambino scomparso.
Biblicamente ( cioè : giudicando ) non riesco proprio a dargli meno di un 7 (***½ ), ma nemmen di più di un 8 (****).
Tanti buoni-medi registi non si preoccupano delle ''conseguenze'' morali delle loro opere, Villeneuve si : è ancorato al mondo.
A distanza di tempo ( mesi, anni ) lo rivedrei volentieri. Questo è quanto.
Ha il fiato giusto per un fischio.
II. Ο?δα (Oida) :
“non hanno pianto finché non le ho lasciate” :
ascoltare non è capire, sentire non è comprendere.
Ho visto dunque so : niente di più sbagliato, nulla.
-- Fotografia di cinereo fango spalmato s'un mondo bigio di Roger Deakins - ben diversa dall'itterica untuosità caliginosa del film coevo-parallelo-canadese-indipendente “Enemy” ( girato prima, distribuito dopo ) -, che tornerà con Villeneuve in occasione di “Sicario”. Collaboratore storico dei Coen Brothers, qui come non mai siamo in terra di "No Country for Old Men" e "True Grit".
-- Musiche valide e generosamente attente e del tutto al servizio della storia ( anche se rimangono lontane dalla aderente precisione e stimolante gemmazione di Danny Elfman, Carter Burwell, Alexandre Desplat, Clint Mansell o Jonny Greenwood ) del compositore islandese Jóhann Jóhannsson, che tornerà anch'esso a collaborare con Villeneuve per “Sicario”.
-- Montaggio fottutamente classico ad opera del fedelissimo binomio socio-fiduciario di Clint Eastwood ( per tornare un attimo alla fotografia, a proposito di Clint, se dovessi fare un nome che ne renda l'arcobaleno di grigio direi senz'altro Tom Stern ) : Joel Cox e Gary D. Roach : e progressione fu.
-- La sceneggiatura è corazzata, piombata, sigillata, apparentemente ( e per le cose che contano sul serio : realmente ) a prova di bomba, pressurizzata, coibentata, impermeabile, monolitica, perfett(in)a : e in questo profluvio di ingranaggi e manovelle, pulegge e bielle, leve e molle, ecco che a luci di proiettore spente e a sipario chiuso viene...alla luce il difetto maggiore ( e forse unico - le incongruenze comportamentali dei caratteri dei personaggi e certe loro azioni, e talune svolte della trama un poco calate dall'alto e risolte con brevi flashback in verità sono spiegabilissime con la solita formula : ci son più cose in cielo e in terra… -, ma non per questo bipassabile ) : la sua semplicità auto-risolta, la sua trasparenza annacquata, la sua nullità o meglio il suo auto-annullarsi e recedere, il suo disinnescarsi e lasciare il passo, il suo limitarsi a risolvere uno squarcio ( preparato, organizzato, favorito, impostato ) di mondo : il cerchio si chiude, e come Homer alla fine di ogni episodio di “the Simpsons” che si rispetti, ci si ritrova al punto di partenza ad esclamare orgogliosi : non abbiamo imparato un cazzo.
( PdV del carceriere di Alex che non è Alex : Barry is Alive / Lucky to be Alive )
( PdV di Bob Taylor che ruba le vite degli altri per ricostruire la sua : raccoglie e semina indumenti come molliche di pane )
Villeneuve innesta il pilota automatico mentre con la testa è già e ancora ad “Enemy” [ dico ''già'' e ''ancora'' perché il film patrio (québécois) è stato realizzato e finito ed è bello che pronto mentre il regista è alle prese con "Prisoners'', e nonostante questo uscirà solo successivamente al film (adottivo) statunitense ] e, trasformatosi definitivamente da Auteur
{ i suoi due primi lungometraggi - "un 32 Août sur Terre", '98 e "Maelström", '00 - li ha scritti interamente da solo, su suo soggetto originale, i due successivi - "Polytechnique", '09, s'un fatto di cronaca, e "Incendies", '10, da un'opera teatrale - li ha co-sceneggiati, mentre gli ultimi 4 sono opera di altrettanti sceneggiatori diversi senza che il regista se ne accrediti un intervento : 2 ( “Prisoners” e “Sicario” ) sono soggetti originali, di Aaron Guzikowski e Taylor Sheridan ( in pratica entrambi semi esordienti ), 2
[ “Enemy”, scritto da Javier Gullón ( per questo progetto più sentito Villeneuve si affida ad uno scrittore già navigato ) e “Story of Your Life”, scritto da Eric Heisserer [ che rimane ancora un'incognita : il suo script migliore ( discreto ) a tutt'oggi è quello del “the Thing” di Matthijs van Heijningen Jr., il prequel dell'...''originale'' ( hawksiano ) carpenteriano : ma non si chiama né Lindelof né Goddard, perciò siam già sulla giusta strada ]
prendono vita da un romanzo ( di José Saramago ) e da un racconto ( di Ted Chiang ) preesistenti : l'alternanza ''indipendente''-''blockbuster'' è ben gestita. In attesa dell'untitled Blade Runner project...}
a Metteur en Scène, le prova tutte per cercare di smantellare ( manovrando Roger Deakins che manovra la A Camera ) la retorica di una sceneggiatura non sua e unico punto ''debole'' della pellicola, il suo ''peccato'' originale, e lo fa secondo il motto a mali estremi estremi rimedi, ingolfando il tutto con una serie impressionante di adorabili e solleticanti cliché narrativi ( il Cuarón di “Gravity” è molto più onesto in questo o, meglio, agisce - pur embedded ad Hollywood - su una storia scritta di suo pugno a 4 mani ) : una ''inezia'' : Loki, alla tavola calda, la prima volta che lo vediamo, doveva solo ridere e annuire sbuffando, leggendola e non ''declamandola'', la descrizione ''insulso, egoista ed eccentrico''.
§§§ Intermezzo : DiaLogo, ovvero :
“Io non sono Alex” : 1 + 1 = 1.
– Alex Jones [ Paul Dano, encomiabile ] è come un bambino di 10 anni. Nessuno con un quoziente intellettivo del genere può rapire due bambine in pieno giorno e dopo farle anche sparire.
– Allora come fa a guidare un camper ?
– Ha una regolare patente della Pennsylvania.
– E non capisco una cosa : perché è scappato ?
– Stiamo valutando le possibilità, non sto cancellando nessuno dalla mia lista.
( WunderKammer →→→←←← RedRum )
III. FILM-STACCHIO, ovvero :
“prega per il meglio, preparati per il peggio”.
Non è certo un film pericoloso ( né nel bene né nel male ) - ma nemmeno pericolante, nemmanco alla paradossale luce di quanto esposto poco fa -, e men che mai reazionario : assistitovi, non sono divenuto un fervente fondamentalista religioso cristiano cattolico, non ho comprato un winnebago e non mi sono messo a viaggiare per il midwest ( o il nordest ) dispensando distribuzioni di fotocopie della buona novella ciclostilata e rivisitata alla luce del ''finché va tutto bene, ok, altrimenti sbrocco e te la faccio pagare, dio”, non ho provato l'irredimibile impulso di divenire un survivalista convinto o di nocca-simboleggiarmi le falangi con tatuaggetti para-esoterici, non credo in dio di un niente in più rispetto al nulla di prima, e così per gli oroscopi ( cinesi, greco-latini o indoeuropei : e comunque sono un Acquario discendente boh-bah-mah, e un Serpente di Fuoco ), non mi sono messo a girare con un fischietto di segnalazione e richiamo antipanico in tasca o appeso al collo ( e non ho obbligato alcuno a farlo ), non sono diventato un accondiscendente assistente del taglione fattosi persona e, purtroppo, non sono neppure riuscito ad assumere per un solo momento quell'aria fenomenale da Nicolas Cage sotto Xanax che il bravissimo Jake Gyllenhaal ( facente parte di un quartetto di ottimi attori che apprezzo ma che tendo spesso a confondere tra loro i cui tre altri componenti sono Ryan Gosling, Joseph Gordon-Levitt e Shia LaBeouf ) porta in faccia, sul corpo, in giro e a spasso per tutto il film : severa, distaccata, informe, altera, falsamente nichilista, (non) rassegnata, compostamente attenta, trasversalmente partecipe.
Quando la commessa del market gli dice chiaramente che quel tizio ''viene quasi ogni settimana e compra vestiti per bambini ma...compra sempre articoli di taglie diverse. A volte fa delle cose strane con i manichini'', l'unica reazione di Loki è un dissimulato e sbrigativo disinteresse soprassedente : in realtà è solo il callo della routine all'opera nel maneggiare bene la realtà.
Quando Grace Dover ( Maria Bello, eccezionale ) gli chiede, dopo avergli spiegato la dinamica degli ultimi accadimenti : “ Detective...non vuole annotarselo ? ”, solo allora lui lo fa.
Quando ancora Grace vuole precisare, spossata tra la felicità assoluta e la parziale preoccupazione, che suo marito è e rimane ''un brav'uomo'', l'unica reazione di Loki è il silenzio, accompagnato da uno sguardo fisso : wide-shut, comprensivo-distaccato, empatico-impassibile.
Keller Dover ( Hugh Jackman, molto convincente ) intanto è pronto per essere giudicato e punito ( e, prima o dopo di ciò, salvato ) che per fortuna esiste ancora – tra le preghiere e i biscotti della fortuna – una legge degli esseri umani.
Laboritianamente, (non) è né carne né pesce, (ma) è un film rettilico : che libera in noi l'empatia verso i comportamenti atti alla sopravvivenza immediata : l'affezione mnemonica e l'analisi comparativo-associativo-deduttiva vengono scavalcate al centro e superate a destra.
( Cacciatore - PdV : Preda )
( Preda-Cacciatore-Preda - PdV : terzo/nostro )
§§§ Promessa : Ensaio Sobre a Cegueira.
“ Non aiuteremo Keller, ma non lo fermeremo neanche. Faccia quello che ha bisogno di fare. Noi non c'entriamo più. ”
Un genitore (madre).
IV. PER SEMPRE SAPREMO.
Per esempio...prendiamo “Inception” - sogni come scatole cinesi - : è un film estremamente lineare ( è un arcade a cerchi concentrici che s'innestano l'uno nell'altro e poi si sbrogliano da soli : non vi è insomma un toroide aprocto che tutto inghiotte, evacua, contiene e rimodella prototipizzando la realtà ulteriore : i nodi da sbrogliare sono ''solo'' circonvoluzioni senza groviglio ). Invece questo “Prisoners” - vite come camere degli specchi : specchi neri che tutto assorbono - (s)tira anche tutte le rimanenti matasse di filo non svolto.
Ma nel farlo, però, innesta nello spettatore (ideale) un meme molto potente ( più sfacciato che sottile, più sanguigno che cerebrale : del resto il comportamento e l'agire di Keller Dover sono stati parte integrante e fondamentale nel procedere alla risoluzione - fortuita - del caso ) : quello dell'immedesimazione.
E questo grazie alla regia, alla messa in scena e alla direzione degli attori di Denis Villeneuve.
Ma ciò che più conta, alla fine, anzi forse l'unica cosa che vale ed importa, è che noi, foss'anche solo per un attimo, per un momento, per un fuggevol barlume di frazione di secondo, per un istantaneo ed effimero lapsus della ragione, ci siamo stati, in quella vecchia casa disabitata ed abbandonata allo sfacelo dei giorni e degli anni, ci siamo stati, in quel bagno come nelle altre stanze in eterna ristrutturazione mai realmente avviata causa scarseggianti incentivi e liquidità, ci siamo stati, lì, e abbiamo tenuto – impugnandolo ben saldo – quel martello in mano.
Abbiamo ben soppesato con la mente il potenziale effetto che farebbe rilasciare quella latente forza inespressa e compressa : sulla ceramica di un lavabo, o su quella di un'arcata dentale, o ancora su qualche falange di qualche mano ( appartenenti a chi, in cuor nostro ben lo sappiamo – ce l'hanno mostrato gli occhi e detto le orecchie : “non hanno pianto finché non le ho lasciate” – altro non è che portatore di una propria incolposa/incolpevole innocenza ).
E se ci siamo stati anche soltanto per quell'unica volta, per quello scorcio irregistrabile ch'è durato un palpito, anche solamente per quel frangente racchiuso in un battito di ciglia del pensiero che esplora tutte le possibilità, ecco che in qualche modo lì resteremo, per sempre : per sempre sapremo ricordare la consistenza di quel legno impugnato, il peso di quel ferro abbattuto, il bilanciamento occorrente a maneggiare quel martello.
L'abbiamo saputo, lo sappiamo, lo sapremo.
E nessun fischi(ett)o potrà mai salvarci da questo.
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