Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Il rapimento di due bambine dà inizio a una discesa verso l’inferno e assume un senso metafisico che supera la semplice cronaca dei fatti. Perché Dio permette che accadano cose tanto terribili? Cosa resta della Fede, e persino dell’umanità, di chi le subisce? La pellicola si apre con una preghiera, prosegue con un reverendo pervertito che dice di aver fermato un pazzo in guerra contro Dio e arriva a uomini che divengono demoni. Si ricorre persino alla tortura, tema centrale dell’America post 11 settembre, le cui cicatrici segnano qui anche i carnefici e dunque si evitano le ambiguità di Zero Dark Thirty. L’intera indagine, poi, è spesso in balìa del caso: imprevisti minimi determinano il corso degli eventi e la regia, come una volontà superiore, a tratti si prende gioco dei protagonisti. Se dunque molti personaggi di Prisoners sono prigionieri in senso letterale, tutti lo sono in senso metaforico, costretti ad agire da soli e intrappolati da un destino crudele. Plumbeo come l’atmosfera fotografata dal grande Roger Deakins, che regala alcune magistrali sequenze notturne tra la pioggia e la neve. L’intreccio è poi labirintico e, come già nel precedente film di Villeneuve La donna che canta, nel finale cede a un’eccessiva volontà di far tornare i conti. È però il solo difetto di un thriller che, sorretto da un cast senza sbavature, si sviluppa su più livelli di lettura senza perdere mai la tensione.
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