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Prisoners

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Prisoners

di OGM
8 stelle

Jake Gyllenhaal e Hugh Jackman sono rispettivamente il detective che indaga in un caso di scomparsa, ed il padre della vittima, una bambina di nome Anna. Due uomini strenuamente impegnati nella stessa battaglia. Eppure non combattono sullo stesso fronte. La giustizia, si sa, ha due facce: una etica e scientifica, l’altra viscerale e fantasiosa. E dove la testa non aiuta, interviene la pancia, nel tentativo di metter comunque a posto le cose, costi quel che costi.  In questo thriller d’oltreoceano, che rispetta in pieno tutti i canoni della suspence investigativa e della tensione psicologica – tra dilemmi professionali e crisi familiari – si ritrova, intatto, lo spirito di Un borghese piccolo piccolo, con il sadismo celato tra le pieghe del perbenismo, sotto la superficie di un’apparente normalità. A portarlo alla luce è il trauma inaccettabile dell’interruzione della felicità, vissuta come un crudele abuso del destino o dell’umana cattiveria. Si può prendersela con quel Dio in cui, nonostante tutto, si continua a credere, oppure con i propri simili, contro i quali, se ne necessario, è lecito essere violenti e spietati. Keller Dover è un cacciatore, che spara ai cuccioli di cervo subito dopo aver recitato il padrenostro. Di fronte alla figlia si giustifica dicendo che è la popolazione degli animali selvatici deve essere tenuta sotto controllo, per evitare che, a causa della scarsità di cibo, molti esemplari muoiano di fame. Keller tornerà a pregare, accanto alla porta sigillata del vano in cui tiene segregato Alex, il presunto rapitore di Anna, sottoponendolo a terribili torture perché confessi il suo delitto e riveli il nascondiglio della piccola. L’orrore nasce dall’odio, e questo, a sua volta, è il frutto di un dolore inspiegabile, che, non potendo trovare una ragione, si mette rabbiosamente alla ricerca di un colpevole. Un istinto ancestrale, sinistramente annidato nella nostra coscienza di esseri civili, ci induce da sempre a personificare il Male: è l’entità mortifera che si identifica col diavolo, una creatura che è in parte bestiale, come la figura caprina di Pan, in parte celeste, come Lucifero, l’angelo cacciato dal Paradiso. Egli è, in entrambe le vesti, un avversario che è possibile sfidare con i mezzi appartenenti a quel mondo primitivo di cui, in ogni epoca, continua ad essere la perfetta espressione. Del resto, l’anima del giallo altro non è che l’onda nera che si allarga sotto la realtà di tutti i giorni, diffondendo, insieme all’inquietante sentore dei misteri sepolti, l’odore pregnante dell’humus in cui, nel corso del tempo, si depositano i nostri rancori.  Sono questi i nostri segreti prigionieri, sotterrati in cantina, chiusi dentro a un buco, sommersi da un antico oblio o da un’inveterata menzogna. Nel film di Dennis Villeneuve quel marciume è  il fertilizzante di una pungente provocazione morale, che parte dal degrado per rincorrere, attraverso le labirintiche vie di un enigma poliziesco, lo spettro di un onnipresente, selvaggio terrore di vivere.

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