Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Insieme a "Attila il flagello di Dio", il lungometraggio che sancì la fine della prima fase della carriera di Diego Abatantuono, letteralmente esplosa all'inizio degli anni Ottanta, con film campioni di incasso costruiti in gran parte sulle sparate in gergo "terrunciello" dell'attore lombardo, ma di radici pugliesi, fu "Il ras del quartiere", che Carlo Vanzina, anch'egli attivissimo in tale periodo ( tra l'80 e l'83 girò nove film, tanto per dare un'idea...) diresse tra "Vacanze di Natale" e "Amarsi un pò". Ed in effetti, guardando un film come questo, viene da domandarsi in quanti giorni sia stato scritto, allestito e girato, dato che spesso Abatantuono, che fece l'errore di sputtanare la propria comicità infilandosi in un numero esagerato di partecipazioni e parti da protagonista, pur di cavalcare l'onda del successo di pubblico. Qui, in una Milano in cui la teppa la fa da padrona, si parla in gergo ( tutto molto anni Ottanta, vero, ma esageratissimo), e più che altro si traccheggia in scena tra l'avvio e la conclusione, il grosso Diego impersona un sedicente leader di una banda, incaricato da un padre in pena di ritrovargli la figlia: la storia arranca sconclusionata come poche, la recitazione, a parte Lino Troisi, dei comprimari è alquanto ipotetica, e Abatantuono infila ogni tanto un gioco di parole o qualche battuta che possono anche far sorridere, ma è veramente troppo poco, per l'uggiosa pellicola girata senza estro nè interesse dalla produzione. E addirittura la PFM mette mano alla colonna sonora, così come i Goblin in disarmo: fiasco netto all'epoca, per qualche irriducibile del trash un piccolo cult, addirittura. Ma è un inciampo bello e buono, altro che.
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