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Kirjad Inglile

Regia di Sulev Keedus vedi scheda film

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La recensione su Kirjad Inglile

di OGM
8 stelle

L’hanno visto i giurati degli Academy Awards 2012. E pochissimi altri. Perché questo film –compreso il DVD – è uscito soltanto nel suo Paese, l’Estonia. Eppure questa storia, destinata, per motivi di distribuzione, a rimanere confinata nel suo minuscolo mondo appartato, è simile a tante altre, nelle quali la solitudine e l’abbandono parlano il linguaggio universale delle anime perse. Jeremia Juunas Kirotaja non è più quello di una volta: da quando è partito per l’Afghanistan, a combattere una guerra che non gli è mai appartenuta, la sua vita ha deciso di farne un uomo diverso, condannato a risultare estraneo a tutti, compreso se stesso. In seguito ad un terribile episodio di violenza contro cvili inermi, Jeremia ha disertato, è fuggito, è stato fatto prigioniero, ha adottato una ragazzina del posto, è diventato musulmano. Per salvarsi, si è sradicato dalla propria famiglia, dalla propria cultura, per abbracciare una libertà nuova e totalmente sconosciuta, in cui, in assenza di vincoli sociali, si può vivere di solo pensiero. Jeremia scrive, instancabilmente, da anni. Intinge la punta della matita nella saliva, per inumidirla, per farne un pennello con cui verga parole accorate rivolte ad una persona che non ha mai visto, e che non potrà mai ascoltarle. Sono lettere che resteranno chiuse dentro i suoi quaderni, su pagine che nessuno staccherà mai per spedirle alla destinataria. Di lei sappiamo solo il nome: Ingel, cioè angelo. È l’unica figlia di Jeremia, nata quando lui era già lontano, sotto le armi. Un vagito udito in sottofondo, mentre l’uomo era al telefono con la moglie, è, per lui, l’unica traccia dell’esistenza di quella bambina. Una presenza ignota, a cui deve dare un volto con la sola forza dell’immaginazione, è il suo unico punto di riferimento in un'esistenza amara che ha fatto di lui un fantasma vagabondo, senza identità né cittadinanza, disperatamente ancorato a quell’amore, rivolto ad una creatura onnipresente eppure invisibile: un sentimento tanto intenso ed astratto da poter essere paragonato ad una fede religiosa. Intanto, intorno a lui, un universo diventato deserto si diverte a farsi oceano tumultuoso, popolato di individui che inseguono, in ordine sparso, le tante personali derive verso cui li indirizza una follia plasmata  dal caso, sebbene travestita da arte o da scienza. Attori, cantanti, registi, musicisti, psichiatri, sono i personaggi  di un teatro dell’assurdo in cui la creatività è una mania messa in scena per mascherare l’incomunicabilità e la fondamentale mancanza di idee. Le ossessioni sono i riti in cui si celebra l’infelicità, in maniera violenta o solo stravagante, chiamando il sogno a riempire il vuoto lasciato dal naufragio dei valori della Storia. Jeremia torna in patria, e, nel luogo natio, non trova nient’altro che ombre, sporadiche e inquiete, che si aggirano in mezzo ad una terra desolata e informe. Anziché vivere, i suoi compaesani recitano per mantenere l’illusione che il passato non sia morto, e che il presente sia una nave intatta e sicura, in grado di traghettare tutti verso un luminoso futuro. La finzione segue il suo protocollo, con i matrimoni, le feste, gli spettacoli, la banda che suona. Ci sono, ancora, apparentemente, i piaceri di sempre, come la musica e il sesso. Non c’è nessuno, però, in grado di praticarli con autentica gioia.  Il circo insiste a proporre i suoi numeri, ma i riflettori si sono spenti, ed il pubblico è andato via, o ha semplicemente smesso di partecipare.   La ruota della giostra continua a girare, ma solo per ripetere all’infinito che non c’è più niente da fare. L’eccentrico disincanto felliniano occhieggia tra le righe di questo ritratto del nonsenso, sospeso nel tempo e privo di nome, come un tipo pittoresco, ma in fondo privo di carattere. L’ultimo colpo di coda delle sue emozioni al tramonto è un desiderio istintivo che volge in volontà distruttrice. Un atto meccanico – un accoppiamento, un attentato suicida, una scena girata sul set – si sostituisce al trasporto della passione. È la morte che si impadronisce dei gesti della vita. Intanto la pelle si tinge di bianco, e le labbra di nero. Le lenti scure, rubate da Jeremia a un cecchino defunto,  gli impediscono di distinguere la realtà. E i suoi occhi, oramai, non sopportano più la luce del sole.

 

Kirjad Inglile ha concorso, per l’Estonia, al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero.

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