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Maria

Regia di Calin Peter Netzer vedi scheda film

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Stefano L

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La recensione su Maria

di Stefano L
6 stelle

Maria (2003) - IMDb

 

María (Diana Dumbrava) è una trentatreenne della classe operaia che vive col coniuge alcolizzato (Serban Ionescu), predisposto allo sperpero del denaro nelle bische, e i sette figli. La vita della donna è tremenda, non ha prospettive e viene aggravata in seguito alla perdita del lavoro della consorte, a causa del fallimento della fabbrica in cui svolge l’attività di bracciante. Dopo l’ennesimo maltrattamento alla moglie al quale viene preceduto un arresto per una delle bravate notturne, l’uomo lascia la famiglia e si dirige all’estero con l’amico Milco (Horatiu Malaele); vogliono intraprendere degli stravaganti business, perfino tramite l’utilizzo di bottiglie usate. La donna, adesso, è completamente sola. Trova posto in una lavanderia ma il capo cerca di abusarne. Essendo ormai per strada e ad un passo da essere costretta a vendere i pargoli ad un transalpino, non rimane che scegliere la triste carreggiata del mestiere più vecchio del mondo… Viene allestito il quadro mefistofelico di una Romania in preda alla miseria, al degrado, alla superstizione rudimentale; è lo sciagurato paese logorato dai postumi del regime dittatoriale di Nicolae Ceausescu, il quale ha condannato la nazione a un fato crudele, deflagrante, rorido di corruzione e delinquenza presso i meno abbienti (avvilente, crudissimo, benché veritiero, il pezzo sconcertante ove un cittadino si dà fuoco davanti al palazzo del Governo). Un “guasto” che affonda le sue radici nelle basi dell’humus di una popolazione piegata alla mercé del capitalismo più spietato, e incapace, nel periodo avaro della globalizzazione, di concentrarsi in una posizione di stabilità civile, giuridica, etica. Un pessimismo travolgente, pernicioso, di cui ne pagano le conseguenze gli sventurati costretti a relegarsi ai margini della società. Il regista Calin Peter Netzer, tuttavia, evitando una paludata retorica e del bieco moralismo, dipinge le debosciate caratteristiche dei pars chiamati in causa senza precludere un lùbrico umorismo, relativo alla natura grottesca delle bandelle rocambolesche (esilaranti gli scontri con i rissosi, ubriaconi giocatori d'azzardo), le quali si accostano a momenti di funesto lirismo . Manca però il respiro, una cadenza uniforme dell’armonia narrativa, e la visione tende a farsi greve negli avvenimenti finali, quelli dove viene fatta un’analisi alquanto lasciva e banalizzata sul cinismo del mezzo televisivo. Particolare comunque la tecnica fotografica, con luci bassissime e cromie parsimoniose, quasi amatoriali (specie in alcuni interni ambientati nelle pensioni, forse per indicare lo squallore del gretto contesto). Si poteva fare di meglio (con una mano più ferma sulla causticità del soggetto, e la riduzione di iperboli). Ci si accontenta perciò dell’onestà intellettuale mantenuta.

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