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La sagrada familia

Regia di Sebastián Lelio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La sagrada familia

di obyone
7 stelle

 

locandina

La sagrada familia (2005): locandina

 

Non era mai uscito prima d'oggi, in Italia, "La sagrada familia" del cileno Sebastián Lelio, regista che ha ottenuto la consacrazione internazionale con "Gloria", film che, alla Berlinale 2013, ottenne l'Orso d'Argento grazie alla bravura dell'attrice Paulina Garcia e alla bellezza del suo personaggio. Dopo "Gloria" fu "Una donna fantastica" a farsi notare a livello internazionale. Il film consentì a Lelio di ottenere, nella sua Berlino, l'Orso d'argento per la miglior sceneggiatura dando il là ad una cavalcata eccitante culminata con il premio Oscar al miglior film straniero l'anno successivo. La riscoperta del percorso artistico di Lelio sarebbe stata, dunque un'iniziativa auspicabile, dopo i premi ed i riconoscimenti ottenuti in questi ultimi anni. Ma come spesso accade nel nostro paese la riscoperta di alcuni titoli è solo l'effetto di successi clamorosi, come insegna il "caso Parasite" al cui seguito è stato distribuito il ben più vecchio "Memories of a murderer", a quel punto non per questioni artistiche ma semplicemente di business. Ben venga dunque l'impegno della piattaforma "Miocinema" che ha curato nei giorni scorsi una piccola retrospettiva su Sebastián Lelio iniziata con "La sagrada familia", che uscì nel 2005 in Cile e costituì l'opera prima del regista, sperando che l'impegno si estenda al secondo progetto dell'artista, "Navidad" (2009) e al terzo, "El año del tigre (2011) ancora inediti da noi.

"La sagrada familia" di Lelio è formata da un architetto di successo, la moglie ed il figlio ventenne, studente la materia del padre. L'azione si svolge in una bellissima casa inondata di luce sulla costa cilena mentre il freddo si sta via via impossessando di quei luoghi pacifici e selvaggi.

Durante il week-end i genitori di Marco si apprestano a festeggiare il triduo pasquale e attendono con trepidante attesa l'arrivo della fidanzata del figlio per le presentazioni di rito a cui dovrebbe seguire un fine settimana di studio e reciproca conoscenza. L'abbandono anticipato del cenacolo da parte della madre e la debordante personalità di Sofia contribuiscono a rendere la conoscenza molto più profonda del necessario in simili occasioni.

I rapporti tra i due Marco, un affermato professionista, il più grande, ed un giovane, entusiasta ma inesperto universitario, il secondo, sono piuttosto tesi. Il figlio vorrebbe sganciarsi da una figura paterna opprimente mentre il genitore non riesce a comunicare empatia e appoggio verso le intenzioni di carriera del figlio. I due borbottano su tutto persino sulla presunta mancanza di talento di Antoni Gaudi che il giovane difende a spada tratta. La sua "Sagrada familia" è il luogo dove potrebbe vivere Dio secondo il pensiero del ragazzo che a contrario dei genitori non apprezza i riti cristiani mettendo in dubbio l'esistenza stessa dell'Altissimo. Nel caos di forme e colori che la basilica catalana rappresenta, il giovane Marco trova tutto l'ordine e la purezza che il padre non vede, colpito piuttosto dal gusto barocco dell'eccesso scorto sotto le mentite spoglie di un'austera architettura medievale. Ma se lo studente trova quel luogo un simbolo di perfezione e di ordine la sua famiglia borghese e conservatrice sembra più un insieme di errori, appena sussurrati, mai veramente metabolizzati. Non c'è nulla della sacralità di quel tempio, nulla del misticismo pasquale all'interno di quelle vetrate che separano l'uomo dal mare, l'intelletto più spocchioso dalla spiritualità più sincera. I rapporti all'interno di questo quadro famigliare sono irrisolti. Il padre non dialoga veramente col figlio mentre un macigno opprime il cuore della madre per un avvenimento del passato non ancora superato che probabilmente ha scalfito il rapporto coniugale. Infine l'avvenente e smorfiosa Sofia si rivela agli occhi di Marco junior nella subdola sfrontatezza di un intelletto altezzoso e cinico.

Il parallelismo tra la figura del giovane Marco e quella di Cristo mi è sembrata icastica nella sua rappresentazione simbolica. Come il figlio di Dio predicava un amore diverso e minava con le sue parabole un mondo antico ormai agli sgoccioli, così Marco, con i gesti, gli atteggiamenti di sfida, il sarcasmo scaturito da una maturata conoscenza degli individui, combatte per sgretolare il tempio di una società ipocrita, sia essa laica che religiosa, rappresentata dal proprio nucleo famigliare. Lo zoppicante e dolorante Marco, rimasto coinvolto di un incidente d'auto, causato dalla fidanzata ubriaca al volante, ricorda il Cristo flagellato e caduto tre volte prima di arrivare al Golgota. La morte del venerdì santo è lacerante quanto l'atteggiamento lascivo della fidanzata che si concede con ardore all'uomo sbagliato causando un atroce dolore al ragazzo innamorato. Ma alla morte succede la rinascita. Il giovane Marco si toglie di dosso la pelle di una nivea fanciullezza e risorge a nuovo individuo che si appresta a lasciare il seno materno per percorrere le proprie vie, magari dolorose ma indipendenti e scevre dal giudizio altrui. Mentre la rivoluzione fisica e mentale si manifesta nel primo rapporto sessuale e nella scelta dell'amore liberato da condizionamenti intellettuali, la Pasqua di Marco è quanto più metaforicamente vicino alla resurrezione di Gesù Cristo. Marco esce dalla sepolcrale magione del Padre mentre costui e la fidanzata dormono il sonno pesante dei soldati romani messi a guardia della tomba, ed una dolce ed introversa Maddalena lo accompagna verso il proprio destino. L'addio alla casa paterna, poco prima dell"arrivo della madre è un atto premeditato volto a creare il massimo scompiglio nell'ipocrita vita della coppia non ancora rinsaldata dopo un evento, non specificato, capace di minare l'armonia della famiglia. Ed in questo andarsene per le cose sue sembra di rivedere lo scompiglio di quell'uscita miracolosa dal sepolcro chiuso che causò cambiamenti sconvolgenti nella storia romana ed ebraica del tempo.

Lelio infila il coltello nelle pieghe di una famiglia e di una religiosità svuotata di quei principi e quell'amore verso i propri simili che le avevano permesso di scardinare la mentalità classica. Anche se meno politico del cinema di Larrain, poiché più improntato all'analisi dei rapporti famigliari, Lelio, che ha tratto ispirazione dal proprio passato, non si esime da una disamina dell'ottusa società cilena e di un certo intellettualismo ipocrita di stampo razionale. Sentore politico e religioso governano i comportamenti sociali, influenzano la libertà sessuale e sentimentale. Ma per ogni reiterata bugia, ogni difficoltà di accettazione nascosta dietro a falsi miti libertari ci sono giovani pronti a ridiscutere se stessi per cambiare la propria vita e chissà quella dell'intorno in cui vivono. Lelio ha girato oltre 100 ore di materiale in pochissimi giorni curando tutti gli aspetti della produzione. È stato sceneggiatore, operatore di macchina e montatore. "Non c'erano i soldi per un cameramen", "semmai la consapevolezza di dover mettere le mani in pasta per plasmare il fango e creare l'opera d'arte". Dopo molte ore di lavoro quel girato, fatto di molta improvvisazione e ottime interpretazioni, si è ridotto a poco più di 90 minuti. Pochi soldi e tanta passione si sono manifestati nell'uso della camera a mano, del rapporto 1.85 : 1 scelto per indugiare su volti e mezzi busti, e nell'uso di una fotografia rumorosa e grezza come la pasta da modellare. Ben lontani dalle pellicole successive ma solo da un punto di vista tecnico. Il Lelio di allora è il Lelio di adesso. Esordio da recuperare. (V.o.s.)

 

 MioCinema

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